Da molti anni ormai sia a livello nazionale che internazionale ci si interroga su quale debba essere il futuro del libro cartaceo dopo l’avvento dell’eBook e soprattutto per quanto concerne l’Italia con il PNRR digitalizzazione.
Biblioteche digitali: l’evoluzione dell’oggetto libro
Va detto che stiamo vivendo una rivoluzione dell’oggetto libro. Tale oggetto non ha sempre avuto la forma con cui lo conosciamo oggi, ma ne ha assunte diverse nel corso degli anni, dalle tavolette assiro-babilonesi di Assurbanipall sino al libro moderno a stampa, passando per il rotolo di papiro, le tavolette lignee, i rotoli pergamenacei, il codice manoscritto e il libro antico a stampa[1].
Molti e ben fatti sono i saggi di approfondimento che si interrogano sul futuro del libro e sul ruolo della digitalizzazione, per citarne alcuni basti pensare a La digitalizzazione che non c’è di Barbuti e De Bari, pubblicato nel numero di giugno 2021 di Biblioteche Oggi, oppure Piattaforme digitali per la pubblicazione di contenuti di ricerca di Cassella pubblicato sempre nella medesima testata del numero di settembre 2014. I bibliotecari da più di dieci anni s’interrogano sulla questione, alcuni accolgono con favore gli stravolgimenti del digitale, altri rimangono più titubanti sulla questione, troppo legati al cartaceo, è, però, innegabile che il digitale stia portando dei notevoli progressi nella fruibilità del libro e delle riviste, basti pensare a MLOL, oppure alle tante riviste scientifiche e di divulgazione open access, o ancora alla nascita di continue nuove testate giornalistiche. Inoltre, non è da sottovalutare l’apporto che avrà il PNRR in materia di ricerca, studiosi da tutto il Globo, potranno visionare manoscritti, incunaboli e riviste storiche comodamente da casa.
L‘evoluzione digitale e il PNRR nelle biblioteche italiane
Prima di addentrarsi nel solo mondo biblioteconomico risulta opportuna una ricognizione generale sul PNRR e la digitalizzazione in Italia. Negli ultimi tre anni, le amministrazioni locali italiane hanno fatto importanti progressi nel percorso di digitalizzazione della Pubblica Amministrazione (PA). Tuttavia, nonostante i passi avanti, persiste un significativo divario tra le diverse aree del Paese, particolarmente tra il Nord e il Sud Italia, che rende la trasformazione digitale una sfida complessa e articolata. Attualmente, il 73% degli enti pubblici, tra cui regioni, province, comuni e aziende sanitarie, offre almeno un servizio completamente digitale, con un significativo miglioramento rispetto al 47% del 2019[2]. Tuttavia, la velocità con cui la digitalizzazione avanza varia sensibilmente tra le diverse zone del Paese, con le aree settentrionali che mostrano tassi di adozione molto più elevati rispetto a quelle meridionali. Nonostante l’evoluzione positiva, emergono ancora notevoli difficoltà, tra cui la carenza di competenze digitali tra i dipendenti pubblici e l’accesso limitato a infrastrutture tecnologiche avanzate in alcune regioni[3]. Uno degli strumenti principali che ha accelerato il processo di digitalizzazione della PA è stato il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Tra il 2020 e il 2022, la spesa per investimenti informatici è aumentata del 65-80% rispetto ai due anni precedenti, grazie a un imponente flusso di risorse destinate alla trasformazione digitale. Il PNRR ha rappresentato la seconda fonte di finanziamento per la digitalizzazione della PA, subito dopo le risorse interne degli enti pubblici[4]. Tuttavia, non tutte le amministrazioni hanno potuto beneficiare allo stesso modo di questi fondi. I piccoli comuni, in particolare quelli del Sud Italia, hanno avuto difficoltà ad accedere ai finanziamenti europei, principalmente a causa di una burocrazia complessa e della mancanza di competenze interne. Nonostante ciò, tutte le regioni italiane hanno partecipato almeno a un bando PNRR per l’innovazione digitale, con il 74% delle province e il 53% dei comuni con oltre 20.000 abitanti che hanno utilizzato questi fondi per potenziare la propria infrastruttura tecnologica[5].
La rivoluzione digitale del libro: tra passato e futuro della biblioteconomia
In un’epoca in cui la digitalizzazione permea ogni ambito della vita quotidiana, la biblioteconomia non è da meno. Negli ultimi anni, il mondo del libro sta attraversando una vera e propria rivoluzione. L’oggetto libro, infatti, non ha sempre avuto la forma con cui lo conosciamo oggi, ma ha subito numerose trasformazioni, dal rotolo di papiro delle antiche civiltà mesopotamiche al libro moderno a stampa, passando per il codice manoscritto, il libro antico a stampa e, più recentemente, il libro elettronico. Oggi, il progresso tecnologico spinge la biblioteconomia verso nuove frontiere, aprendo la strada a un futuro sempre più immateriale, in cui la digitalizzazione e l’accesso remoto ai testi sono diventati aspetti fondamentali.
La storia dell’oggetto libro: dal papiro alla stampa
In Egitto, il supporto scrittorio che andò per la maggiore fu il rotolo di papiro, esso veniva prodotto strappando dal fusto triangolare della pianta delle strisce, che venivano affiancate su una superficie umida, dura e liscia. Sopra di esse veniva disposto, ad angolo retto, un altro strato. Per amalgamare i due strati essi venivano battuti con un martelletto di legno, successivamente venivano essiccati restando collegati dai loro succhi naturali senza l’aggiunta di colla. La superficie, infine, veniva lisciata con pietre arrotondate. In questo modo si ottenevano dei fogli rettangolari (detti in egiziano shefedu e in greco kòllema, plurale: kollemata).
Questo materiale aveva però due problemi fondamentali, il primo legato alla sua provenienza, infatti cresceva solo in zone del Nord Africa e Medio-Oriente, il secondo era legato alla sua conservazione, infatti tale materiale si preservava solo nelle zone nominate precedentemente, mentre in Europa aveva una vita molto breve. A queste problematiche bisogna aggiungere come fosse scomodo da leggere e da scrivere, inoltre poteva contenere testi brevi. A tal proposito, da molti filologi contemporanei, è stato rilevato come alcune opere dell’antichità classica fossero state divise in capitolo proprio in base alle esigenze di spazio.
Le problematiche legate alla conservazione del materiale iniziarono a sorgere con l’arrivo dei Romani che adottarono tale supporto ed iniziarono ad utilizzarlo in tutto l’impero. Però anche essi avevano un loro supporto scrittorio: le tavolette lignee. Esse potevano essere o incavate e riempite di cera, o imbiancate di gesso. Su tale supporto vi si scriveva con uno stile nella tipologia grafica della Capitale romana.
Le tavolette potevano essere di legno di cedro, di bosso o anche di avorio, ricoperte di cera bianca o colorata. Questo sistema fu poi affiancato da uno più simile alla classica ‘carta e penna’: invalse l’uso di affidare i propri pensieri ad una cannuccia, che si intingeva nell’inchiostro, per vergare resistenti pergamene (tratte da pelli animali, di pecora o di vitello) o delicati papiri. Dunque, durante l’epoca romana abbiamo molti supporti scrittori, la rivoluzione avvenne verso la metà del III secolo d.C., quando da Pergamo iniziò ad essere esportato sempre più verso Roma un nuovo materiale: la pergamena. Va però detto che i primi esperimenti di “forma libro” vennero fatti con i libri di papiro, cioè una fusione tra il rotolo di papiro e il libro di tavolette romano. Tale esemplare aveva la forma di un libro moderno, con le coperte lignee e le pagine di papiro. Però la rivoluzione vera e propria si ebbe con il codex pergamenaceo. Al passaggio dal rotolo di papiro al codice manoscritto contribuì anche la progressiva affermazione del Cristianesimo, poiché ess volendo lanciare un nuovo messaggio, volle anche distinguersi dal paganesimo per la tipologia di supporto utilizzato e per la tipologia grafica: il paganesimo utilizzava il rotolo di papiro e la capitale romana, il cristianesimo si affermò sul codice pergamenaceo scritto in onciale.
Con la caduta dell’Impero romano d’occidente, nel 476 d.C., non ci fu nessun “Ente” che sorvegliò più sulla scrittura, così in poco tempo si diffusero molte tipologie grafiche differenti:
- onciale e semionciale (IV d.C. – VIII d.C.) – parallelismo con il maiuscoletto appartenente ad una fase della scolarizzazione più avanzata;
- beneventana. È associata con l’Italia a sud di Roma, ma è stata anche usata nell’area dalmata (nel monastero di San Crisogono a Zara) sotto l’influenza barese. Questa scrittura, sviluppatasi a partire da Benevento, è stata usata approssimativamente dalla metà dell’VIII secolo fino al XIII secolo, anche se ne esistono esempi fino al tardo XVI secolo;
- scritture insulari. È una tipologia grafica medievale usata in Irlanda e in Gran Bretagna (Latino: insula, “isola”). Successivamente si diffonde nell’Europa continentale dai centri sotto l’influenza del Cristianesimo Celtico. Tale scrittura si sviluppò in Irlanda nel VII secolo e fu usata fino al tardo XIX secolo.
Una riunificazione grafica si ebbe solo nel IX secolo, con Carlo Magno, che attraverso la corte di Aquisgrana e Alcuino di York, impose la minuscola carolina. Fu messa a punto per la prima volta dai monaci benedettini di Corbie, i quali trasformarono la minuscola corsiva, allora usata dai copisti in varie versioni regionali, in una nuova scrittura caratterizzata da una forma regolare delle singole lettere e dall’eliminazione delle legature e delle abbreviazioni, facilitando la lettura. Fu adottata dapprima nei grandi monasteri per la trascrizione delle Sacre Scritture, poi fu insegnata nelle scuole vescovili e monastiche e quindi venne utilizzata dalle pubbliche amministrazioni per la redazione degli atti ufficiali. La grafica risultava elegante e la forma dei caratteri più accurata. Una delle differenze principali rispetto alla minuscola corsiva furono le lettere “a” e “t”: vennero semplificate per poterle distinguere in maniera più semplice. La minuscola carolina riscontrò un rapido successo poiché facilitò la trascrizione di testi classici agli amanuensi, semplificò notevolmente la comunicazione internazionale e diede una nuova spinta alla rinascita e alla diffusione della cultura classica nei secoli altomedievali. Carlo Magno decise di imporre tale nuova tipologia grafica, poiché, governando un impero molto vasto, dal punto di vista amministrativo-burocratico era divenuto difficilissimo comprendere testi redatti anche solo 20/30 anni prima. Tale imposizione andò a cancellare tutte le peculiarità scrittorie regionali, ad eccezione della beneventana che sopravvisse sino al Trecento, poiché il Sud Italia non entrò mai a far parte dei domini carolingi.
Nei secoli dell’Alto Medioevo il luogo adibito alla produzione dei manoscritti è il monastero, conservandosi la cultura quasi esclusivamente in ambienti religiosi. Esso viene prodotto interamente all’interno del monastero, ivi si hanno monaci che allevano le pecore, coloro che lavorano la pergamena, chi taglia la pergamena, chi la cuce e chi verga i codici. Il codice veniva vergato nello scriptorium e solitamente un monaco per terminare un codice di medie dimensioni (da bisaccia) impiegava dai sei mesi a un anno. Inoltre un amanuense per tutta la vita vergava sempre le stesse opere, andandole così a memorizzarle alla perfezione, al fine di velocizzare il lavoro di copiatura.
Tale sistema di produzione del libro si venne a modificare nel Duecento, con la nascita dei comuni, delle università e della classe mercantile. La ripresa economica e la scolarizzazione della proto borghesia mercantile, portarono a una richiesta di libri cento volte superiore a quella dell’Alto Medioevo, perciò il sistema produttivo del monastero non poteva assolutamente reggere la domanda. Così il libro iniziò ad essere prodotto nelle botteghe attraverso il sistema della Pecia. Ora l’opera non veniva più copiata da un solo uomo, ma il codex era smontato in tanti fascicoli e questi erano distribuiti ai collaboratori della bottega. Il tempo impiegato era sempre lo stesso, ma ora alla fine dei 6/12 mesi si avevano tante copie quanti erano i fascicoli che erano stati distribuiti e quante volte si riusciva a copiare il singolo fascicolo.
In questo periodo però non cambiò solo il sistema di produzione del libro, ma anche la tipologia grafica utilizzata, si passò ad una gotica. Tale tipologia grafica ebbe un’enorme fortuna e sopravvisse sino all’arrivo della stampa, affiancandosi nel Quattrocento alla scrittura umanistica.
Le tipologie grafica della gotica si era affermata così tanto, che i primi tipografi la continuarono ad utilizzare anche per il libro a stampa, comprese le abbreviature, pur non essendo più utili ai fini del risparmio di pergamena, essendo ora utilizzata la carta.
La digitalizzazione del libro: una nuova era
A partire dal 2010, si è assistito a una diffusione massiccia dell’e-book. Le piattaforme come Google Books e Amazon Kindle hanno trasformato il modo in cui accediamo e fruiamo dei testi. Se inizialmente l’e-book è stato concepito come un’alternativa alla carta, presto è diventato una forma editoriale di per sé, con una tiratura esclusivamente digitale. Ma la digitalizzazione non riguarda solo i testi nativi digitali. Anche i libri cartacei sono stati progressivamente digitalizzati per facilitarne la conservazione e la fruizione. In questo contesto, le biblioteche stanno affrontando la sfida della conservazione digitale, un aspetto ancora incerto ma fondamentale per il futuro della cultura scritta.
Uno degli studiosi che per primo ha messo in evidenza i dubbi e le difficoltà della conservazione a lungo termine in formato digitale è stato Robert Darnton. Nel 2011, Darnton pubblicò Il futuro del libro, un’opera che rifletteva sulla transizione dalla carta al digitale. Secondo Darnton, il formato digitale presenta rischi di obsolescenza tecnologica che non sono presenti nei supporti cartacei tradizionali, che invece godono di una maggiore stabilità e durabilità. Tuttavia, la digitalizzazione permette una diffusione più ampia e un accesso globale ai testi, un’opportunità che i libri cartacei non potrebbero mai offrire.
Le biblioteche digitali
Nel contesto di questa evoluzione tecnologica, le biblioteche digitali sono emerse come una soluzione per preservare e accedere ai patrimoni bibliografici in formato elettronico. Le biblioteche digitali, come definito da William Y. Arms, sono collezioni di informazioni in formato digitale, accessibili tramite la rete. L’Italia ha fatto passi significativi in questo campo, con iniziative come MediaLibraryOnLine (MLOL), che consente l’accesso a una vasta gamma di risorse digitali, tra cui e-book, musica, film, e banche dati, direttamente da casa o da altri luoghi, senza necessità di recarsi fisicamente in biblioteca.
MLOL rappresenta una rete di biblioteche pubbliche, accademiche e scolastiche che offre il prestito digitale di materiali culturali. Con oltre 6500 biblioteche aderenti in Italia e 25 paesi stranieri, MLOL ha rivoluzionato l’approccio alla lettura, rendendo i contenuti culturali più accessibili e fruibili in qualsiasi momento e luogo. In questo scenario, le biblioteche si stanno trasformando da luoghi fisici di conservazione a veri e propri hub di distribuzione digitale, in grado di raggiungere un pubblico globale e di facilitare l’incontro tra lettori e conoscenza.
Manus On Line, ISTC, Edit16 e altri progetti
L’apio excursus su codici manoscritti e libri a stampa antichi è stato realizzato per poi aprire in questa seconda parte del saggio l’aspetto relativo alla digitalizzazione di materiali antichi. Molti progetti nazionali ed internazionali permettono oltre alla catalogazione anche la digitalizzazione parziale o totale degli esemplari, di seguito vedremo i migliori progetti per codici manoscritti, incunaboli e libri antichi a stampa. Il progetto Manus, avviato nel 1988 dall’Istituto Centrale per il Catalogo Unico (ICCU), rappresenta uno degli sforzi più significativi nella conservazione e valorizzazione del patrimonio bibliografico manoscritto italiano. Questo database comprende la descrizione e le immagini digitalizzate dei manoscritti conservati nelle biblioteche italiane pubbliche, ecclesiastiche e private, con l’obiettivo di realizzare un censimento completo delle opere scritte in alfabeto latino dal Medioevo all’età contemporanea. L’inclusione dei carteggi tra i manoscritti descritti amplia ulteriormente la rilevanza del progetto, offrendo una visione più completa della tradizione scritta.
Il progetto Manus si propone di catalogare i manoscritti latini in modo sistematico e dettagliato, partendo da informazioni di base fino ad arrivare a descrizioni complete di prima mano. Il sistema adottato permette di raccogliere informazioni di livello variabile, da brevi note identificative a schede esaustive contenenti dettagli storici e conservativi. Questo approccio rende il database flessibile e adattabile alle diverse esigenze dei ricercatori, delle biblioteche e degli archivisti.
La catalogazione è organizzata in due sezioni principali: la descrizione esterna e la descrizione interna. La descrizione esterna fornisce dettagli relativi all’identificazione fisica del manoscritto, comprese le dimensioni, la rigatura, la legatura, lo stato di conservazione e la storia del manoscritto. La descrizione interna, invece, si concentra sul contenuto del manoscritto, includendo informazioni sull’autore, i titoli, l’incipit e l’explicit, e altre caratteristiche fondamentali per l’analisi del testo. La possibilità di arricchire il database con facsimili digitalizzati dei manoscritti rende la fruizione delle informazioni ancora più immediata e accessibile.
Una delle varianti più interessanti del progetto Manus è Manus Iuridica, che nasce dalla collaborazione tra l’ICCU e il Dipartimento di Studi Storici dell’Università degli Studi di Torino. Questo sotto-progetto si concentra sul censimento delle fonti del diritto in Europa tra il Medioevo e l’Età Moderna, in particolare riguardo alla tradizione giuridica dello Ius commune. Il progetto si inserisce nel contesto di una ricerca più ampia sulle opere di Bartolo da Sassoferrato, un giurista centrale nel panorama giuridico medievale, le cui opere sono conservate in numerosi manoscritti sparsi tra le biblioteche di tutto il mondo.
Manus Iuridica si distingue per l’attenzione dedicata alla catalogazione delle opere giuridiche medievali e moderne, nonché dei loro testimoni manoscritti. L’analisi delle opere di Bartolo è un esempio di come la catalogazione dei manoscritti possa supportare la ricerca storica e giuridica, permettendo di risalire alle fonti originarie e di tracciare la diffusione dei testi giuridici nel corso dei secoli.
Il progetto Manus non è isolato, ma si inserisce in un ampio panorama di iniziative internazionali per la catalogazione dei testi antichi, come l’Incunabula Short Title Catalogue (ISTC), il Material Evidence in Incunabula (MEI) e EDIT16. Questi progetti si completano e si rafforzano a vicenda, contribuendo alla creazione di una rete globale di dati bibliografici, che consente di tracciare la circolazione, la produzione e la fruizione dei libri nel corso della storia.
L’ISTC, ad esempio, è un progetto bibliografico gestito dalla British Library, che si concentra sulla catalogazione degli incunaboli, cioè i libri stampati nel XV secolo. Sebbene il focus di Manus sia sui manoscritti, la collaborazione con progetti come ISTC e MEI permette una sinergia che facilita l’integrazione dei dati e l’arricchimento delle ricerche sulle fonti scritte antiche.
Il Material Evidence in Incunabula (MEI) si concentra invece sui dati materiali, come le note di possesso, le decorazioni e le legature, che offrono informazioni fondamentali per comprendere la storia e l’uso dei libri. Questo tipo di dato è particolarmente utile per tracciare la circolazione dei libri e la lettura nelle varie epoche, un aspetto che arricchisce ulteriormente la catalogazione dei manoscritti e delle edizioni antiche.
Un altro esempio di collaborazione in ambito bibliografico è il progetto EDIT16, che documenta la produzione di libri stampati in Italia nel XVI secolo. Questo progetto, che si avvale della partecipazione di oltre 1.600 biblioteche, offre una risorsa fondamentale per lo studio della produzione editoriale e libraria in Italia durante il Rinascimento. Grazie all’integrazione con il sistema di catalogazione Manus, i ricercatori possono accedere a un ampio corpus di dati sulle edizioni e sulle tipografie dell’epoca, contribuendo così a una conoscenza più approfondita della storia del libro in Italia.
La Biblioteca Digitale Italiana
La Biblioteca Digitale Italiana (BDI), rappresentata nel portale Internet Culturale, è un ambizioso progetto volto a raccogliere e rendere accessibili online i patrimoni culturali digitalizzati provenienti da diverse biblioteche italiane, sia pubbliche che private. Essa agisce come un aggregatore di repository digitali, unificando risorse provenienti da una varietà di istituzioni italiane, come il Ministero della Cultura (MiC), il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR), enti locali, fondazioni e istituti culturali italiani.
Il portale funge da punto di riferimento per una vasta gamma di documenti digitalizzati, spaziando dal manoscritto medievale al libro moderno, dalla musica manoscritta agli spartiti stampati, dalle carte geografiche alle registrazioni sonore. Tra le istituzioni più rilevanti coinvolte nella creazione di questi repository troviamo l’Istituto Centrale per il Catalogo Unico (ICCU), che gestisce il patrimonio digitalizzato di oltre cento istituzioni culturali italiane, e la Biblioteca Digitale Ligure, che raccoglie e rende disponibile l’intero patrimonio documentario e culturale del territorio ligure.
L’indice della Biblioteca Digitale Italiana raccoglie una varietà di contenuti, tra cui metadati descrittivi e gestionali relativi a oggetti digitali di ogni tipo. Le risorse sono organizzate per tipologia di documento, che include manoscritti antichi e moderni, libri a stampa, musica (sia manoscritta che a stampa), carte geografiche, materiale grafico e registrazioni sonore. Questi documenti digitalizzati provengono da un arco temporale che spazia dal IX secolo fino alla metà del XX secolo, con l’esclusione delle opere ancora protette dai diritti d’autore, la cui durata si estende a 70 anni dalla morte dell’autore. Tuttavia, alcune rarissime eccezioni possono consentire la visualizzazione di opere con liberatoria da parte degli aventi diritto.
In alcuni casi, il portale di Internet Culturale offre la possibilità di visualizzare le collezioni digitali attraverso la pubblicazione dei record descrittivi degli oggetti, anche se i documenti stessi non sono visibili online a causa di restrizioni legate ai diritti di copyright. In questi casi, viene fornita una preview dell’oggetto, con un’etichetta che indica la mancanza dei diritti di visualizzazione, suggerendo agli utenti di rivolgersi direttamente alla biblioteca che detiene il bene per ulteriori dettagli.
La Biblioteca Digitale Italiana ha reso i propri documenti consultabili online in vari formati digitali, tra cui immagini (JPEG), trascrizioni di testi (formato TXT e TEI), tracce sonore (in formato MP3), e testi a stampa decodificati tramite OCR per permettere la lettura dei testi presenti nelle immagini. La maggior parte dei documenti è scaricabile liberamente grazie alla licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0 IT, che consente l’uso non commerciale e l’attribuzione dell’autore.
Oltre a rendere disponibile un vasto patrimonio, la Biblioteca Digitale permette agli utenti di accedere a queste risorse comodamente da casa. Gli iscritti alla Biblioteca nazionale centrale di Roma possono, infatti, accedere al portale tramite il sistema di autenticazione OpenAthens, utilizzando le credenziali personali (numero di tessera e password). In questo modo, oltre ad avere accesso a tutte le risorse gratuite, gli utenti possono consultare anche i materiali sotto diritto, come i periodici e i quotidiani pubblicati negli ultimi 70 anni, normalmente visibili solo da postazioni interne alla biblioteca.
Il portale della Biblioteca Digitale è organizzato in diverse categorie di materiale, che spaziano dagli stampati (inclusi libri antichi e moderni), alla grafica (come fotografie), alla musica (con sezioni dedicate a dischi e spartiti), ai manoscritti (sia moderni che antichi). Altri fondi rilevanti includono i fondi d’autore (come ritagli di stampa e volumi con dedica) e l’emeroteca (che raccoglie periodici e giornali storici).
Gli utenti possono navigare tra le risorse disponibili utilizzando diverse modalità di ricerca, che vanno dalla ricerca semplice per parola chiave a quella avanzata, che consente di filtrare i risultati in base a vari criteri, come il titolo, l’autore, la data, il luogo di appartenenza o l’ente che possiede il documento. Inoltre, è possibile esplorare il patrimonio proveniente da altre biblioteche e istituzioni, grazie alla collaborazione in progetti di digitalizzazione congiunta.
La Biblioteca Digitale Italiana rappresenta un punto di incontro tra il patrimonio culturale storico e le moderne tecnologie digitali. Attraverso l’aggregazione di risorse provenienti da tutta Italia, il portale consente non solo di preservare il patrimonio documentario, ma anche di metterlo a disposizione di un pubblico globale, contribuendo al rafforzamento dell’identità culturale nazionale e alla valorizzazione del patrimonio storico. Con oltre 21 milioni di immagini digitalizzate provenienti da collezioni di grande valore, la Biblioteca Digitale offre una porta di accesso privilegiata alla cultura italiana, agevolando la ricerca e l’approfondimento in ambito accademico e culturale.
In conclusione, la Biblioteca Digitale Italiana è un progetto fondamentale per la conservazione e la diffusione del patrimonio culturale del nostro paese, che dimostra come l’integrazione tra tecnologia e cultura possa portare a una gestione più accessibile e sostenibile delle risorse bibliografiche e documentarie.Inizio moduloFine modulo
La digitalizzazione e la conservazione
Se da un lato la digitalizzazione offre enormi vantaggi in termini di accessibilità e diffusione, dall’altro solleva interrogativi sulla conservazione a lungo termine dei materiali digitali. Le biblioteche digitali, infatti, devono affrontare il problema della durata dei formati elettronici e dei software necessari per accedervi. Come osserva Darnton (R. Darnton, (2011). Il futuro del libro. Einaudi.), sebbene la carta possa deteriorarsi nel tempo, il formato digitale è suscettibile di obsolescenza tecnologica e di perdita di dati. È fondamentale che le istituzioni culturali investano in tecnologie di archiviazione a lungo termine e in sistemi che possano garantire la preservazione dei dati digitali, affinché le generazioni future possano accedere agli stessi contenuti di oggi.
Conclusioni
Il libro, nelle sue diverse forme, ha sempre svolto un ruolo centrale nella trasmissione della conoscenza. Oggi, con l’avvento delle biblioteche digitali e degli e-book, il libro si sta trasformando in un oggetto sempre più immateriale e globale. Le biblioteche digitali come MLOL e i progetti di digitalizzazione stanno contribuendo a rendere la cultura accessibile in modi che solo pochi decenni fa sarebbero stati impensabili. Tuttavia, le sfide legate alla conservazione e alla qualità della lettura rimangono aperte. È fondamentale che la biblioteconomia continui a evolversi per rispondere alle nuove esigenze, bilanciando l’accessibilità con la salvaguardia del patrimonio culturale.
È bene, però, riflettere sull’obsolescenza dei software di archiviazione digitale e sui processi di metadatazione in post-produzione per quanto concerne il PNRR digitalizzazione. Digitalizzare non basta, bisogna poi saper archiviare, organizzare e strutturare, digitalizzare codici manoscritti per poi non linkarli all’interno della rispettiva catalogazione in Manus On Line, sarebbe inutile, la medesima cosa vale, ovviamente, per i volumi a stampa con l’OPAC nazionale. Inoltre, per l’OPAC si apre il problema del linkaggio delle pubblicazioni seriali, ovvero la creazione del legame tra i numeri dei periodici digitalizzati e le loro catalogazioni in OPAC, magari a questo tema dedicheremo un intero contributo. La digitalizzazione è una grande opportunità, non sprechiamola!
Note
[1] R. Renzi, Dal papiro dei romani a Gutemberg: un percorso attraverso il libro e la paleografia, in Italia Medievale, n. 48, 2024, pp. 7-10.
[2] AgID e i progetti del PNRR, in AGID, 28/11/2024.
[3] S. Pileri, PNRR e trasformazione digitale, a che punto siamo? Il bilancio del terzo anno, in Agenda Digitale, 4/06/2024.
[4] Ibidem.
[5] A. Tironi, PNRR 2025: a che punto siamo con i Comuni 4.0, in Agenda Digitale, 10/02/2025.
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