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gli scenari del Rapporto ASviS sfatano i falsi dilemmi


Nonostante i progressi compiuti a livello nazionale, europeo e internazionale, sul fronte sostenibilità sembra tirare ultimamente una brutta aria. L’avvio dell’amministrazione Trump è stato una “doccia fredda” per chi sperava (e ancora spera) che una serie di valori ispiri e guidi le scelte politico-economiche globali. E se da una parte c’è un’ampia fetta della società che difende strenuamente i principi dell’Agenda 2030, dall’altra si susseguono gli attacchi frontali alla transizione ecologica, le politiche internazionali aggressive, i dazi, le fake news e molto altro. Alla luce del panorama politico attuale, quindi, quali scelte possiamo compiere?

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È la domanda a cui ha provato a rispondere il Rapporto di Primavera dell’ASviS “Scenari per l’Italia al 2035 e al 2050. Il falso dilemma tra competitività e sostenibilità”, presentato il 7 maggio in occasione dell’evento di apertura del Festival dello Sviluppo Sostenibile 2025.

Il documento, giunto alla sua seconda edizione, offre un quadro sintetico di quello che sta accadendo a livello globale, europeo e nazionale nel settore della sostenibilità. Ma non solo. L’ASviS, in collaborazione con il centro di ricerca Oxford Economics, ha elaborato quattro scenari al 2035 e 2050 per studiare l’impatto della transizione energetica sull’economia italiana, in particolare a livello industriale.

Dal Rapporto emerge subito un dato molto chiaro: la sostenibilità conviene, anche sul piano economico. La scelta per la decarbonizzazione e per l’economia circolare offre al nostro Paese un novero di opportunità, tra cui: maggiore autonomia e costi più bassi dell’energia; elevata competitività (indispensabile anche per reagire ai dazi e alle guerre commerciali), redditività e solidità finanziaria delle imprese; maggiore sviluppo ed equità sociale; miglioramento dello stato della finanza pubblica.

La “falsa contrapposizione tra sostenibilità e competitività” è dunque frutto più di narrazioni faziose che dell’effettivo stato delle cose: le aziende italiane che hanno scelto di investire sulla transizione ecologica e digitale hanno aumentato la produttività, migliorato le condizioni finanziarie, ridotto il costo dei nuovi investimenti.

Quando le imprese credono nella sostenibilità

Le imprese si mostrano fiduciose in questo processo di cambiamento. Secondo il censimento Istat 2021-2022, il 37,9% delle aziende nostrane con tre e più addetti ha svolto nel biennio almeno un’iniziativa di tutela ambientale. E le imprese che hanno investito nella sostenibilità ambientale oscillano tra il 34,5% (3-9 addetti) e il 73,8% (250 e più impiegati).

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I benefici si vedono soprattutto nel settore manifatturiero, centrale per l’economia italiana: secondo l’Istat, ad un aumento dell’indice di sostenibilità ambientale corrisponde un “premio di produttività” che varia fra il 5% e l’8%, mentre una recente indagine condotta da Cassa Depositi e Prestiti mostra come le pratiche di economia circolare abbiano generato risparmi superiori a 16 miliardi di euro nei costi di produzione delle imprese manifatturiere.

Dal punto di vista economico-finanziario, le “aziende circolari” mostrano anche una maggiore capacità di coprire i costi del debito grazie a risultati finanziari migliori, che consentono di aumentare gli investimenti e ridurre il livello di indebitamento.

Ancora: secondo l’analisi condotta da The European House – Ambrosetti, per il 92% delle imprese familiari e l’89% delle non familiari integrare la sostenibilità nel business comporta benefici, a partire dalla reputazione e dalla fiducia nel brand.

Per beneficiare appieno dei cambiamenti è indispensabile però investire massicciamente nella formazione e nel miglioramento del capitale umano (aspetti in cui siamo molto carenti) ed elaborare una visione condivisa del futuro

L’Italia che ci attende, dal medio al lungo periodo

Finora abbiamo parlato del presente, ma cosa accadrà nel futuro? Per rispondere analizziamo le proiezioni al 2035 e al 2050 elaborate da Oxford Economics sull’impatto della transizione ecologica sull’economia italiana. Anche qui, i risultati indicano chiaramente i vantaggi derivanti dall’accelerazione della transizione, mentre il suo rallentamento aumenta i costi e riduce i benefici per le imprese e l’intero sistema socioeconomico. Qui di seguito i quattro scenari:

  • Net Zero (decarbonizzazione al 2050): l’introduzione di misure come una carbon tax globale, indispensabile per raggiungere la carbon neutrality nel 2050, comporterebbe costi significativi nel breve periodo, con pressioni inflazionistiche e una perdita di Pil nel 2035 dell’1% rispetto allo scenario di base. Successivamente, però, gli investimenti più elevati e le temperature medie più basse stimolerebbero la produttività, cosicché, a partire dal 2045, l’effetto sul Pil diventerebbe positivo, arrivando a metà del secolo al +3,5% rispetto allo scenario di base.
  • Dilazione debiti

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  • Net Zero Transformation (piano di politiche strutturali per la decarbonizzazione sostenute da cospicui investimenti nell’innovazione): in questo caso si otterrebbero risultati nettamente più positivi, grazie alla limitata pressione inflazionistica e alla maggiore diffusione di innovazione e rinnovabili. In questo scenario, già nel 2035 il Pil italiano risulterebbe superiore dell’1,1% rispetto allo scenario di base, e il tasso di disoccupazione sarebbe più basso di 0,7 punti percentuali. Il trend positivo continuerebbe anche dopo quella data, e nel 2050 il Pil italiano risulterebbe superiore dell’8,4%.
  • Se si dovesse aspettare a intervenire, come nello scenario della “Transizione Tardiva”, le conseguenze per l’economia sarebbero molto negative. Se le politiche di mitigazione venissero attuate solo a partire dal 2030, bisognerebbe introdurre una carbon tax molto più aggressiva, generando forti pressioni inflazionistiche. In questo panorama, il Pil reale sarebbe inferiore a quello tendenziale del 2,4% nel 2035, e il tasso di disoccupazione salirebbe all’8%.
  • Nell’ipotesi “Catastrofe climatica” l’aumento della domanda di combustibili fossili porterebbe a livelli di emissioni più alti rispetto alla previsione di base, elevata volatilità delle temperature e aumento degli eventi climatici estremi. Nel 2050 il Pil italiano crollerebbe del 23,8% e la disoccupazione raggiungerebbe il 12,3%.

Scenari auspicabili come Net Zero e Net Zero Transformation dovranno però essere supportati da politiche pubbliche adeguate e misure finanziarie efficaci. Misure che a oggi mancano.

L’analisi della legislazione italiana dell’ultimo anno, condotta dagli esperti e dalle esperte ASviS nel Rapporto di Primavera, non mostra infatti “quel cambio di passo necessario a recuperare i ritardi dell’Italia rispetto agli SDGs, evidenziati nel Rapporto ASviS di ottobre”, ha commentato Enrico Giovannini, direttore scientifico dell’Alleanza, nella sua sintesi al Rapporto.

Il Piano strutturale di bilancio, la Legge di bilancio per il 2025, la rimodulazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) sono in questo senso “occasioni mancate” per portare il Paese su un sentiero di sviluppo sostenibile.  

Verso un Piano di accelerazione trasformativa

La strada da seguire è chiara. Ma se non lo fosse abbastanza l’ASviS elenca nel Rapporto una serie di proposte per dare un impulso alla transizione energetica e all’innovazione, a partire dalla prossima Legge di Bilancio, che dovrebbe comprendere la redazione di un Piano di accelerazione trasformativa (Pat) da costruire nei prossimi mesi.

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Tra le proposte: ottimizzare le risorse e l’organizzazione dei servizi sanitari il prima possibile; portare il sistema educativo all’altezza delle sfide attuali e future; integrare in campo economico alcune delle misure previste dalla Bussola per la competitività; alzare il livello di ambizione del Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec); rendere le città un “laboratorio per realizzare la pianificazione integrata finalizzata all’attuazione dell’Agenda 2030”; difendere i beni comuni ambientali.

La buona notizia è che siamo ancora in tempo. Basterebbe, come ricorda sempre Giovannini, “seguire quanto previsto dalla Strategia Nazionale di Sviluppo Sostenibile” adottata dal Governo italiano il 18 settembre 2023 in occasione del Summit Onu dei Capi di Stato e di Governo sull’attuazione dell’Agenda 2030, mettendo in atto quello che il Governo italiano si è impegnato a fare e predisponendo quel “Piano di accelerazione” che tanto servirebbe al nostro Paese.

Essere coerenti, alla fine dei conti, è sempre il primo passo.


Guarda i materiali:
il Rapporto di Primavera
la sintesi del Rapporto
il comunicato stampa
la presentazione del direttore scientifico Enrico Giovannini



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