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Orsini (Confindustria): “Non basta raccontare il Made in Italy, dobbiamo elevare i nostri prodotti costruendo un percorso virtuoso di competitività”


Emanuele Orsini, Presidente di Confindustriain occasione dell’Advisory Board Investitori Esteri di ConfindustriaItalia e imprese estere: innovare per competere nel nuovo scenario globale” e la presentazione del VII Osservatorio Imprese Estere, ha dichiarato: 

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“Noi facciamo un mestiere semplice: portiamo le istanze delle imprese perché non vogliamo perdere competitività, vogliamo che le nostre imprese restino in Italia e continuino a produrre. Perché dietro ogni prodotto c’è il lavoro, e dietro il lavoro ci sono le persone. E noi, le persone, non le vogliamo perdere.

Sul tema dell’energia, non lo dico io, lo dicono i dati del GME: nel 2024 l’Italia ha pagato l’energia a 108 euro/megawattora. La Germania a 78, la Scandinavia a 36, la Spagna a 63, la Francia a 58. Nei primi quattro mesi dell’anno, ad aprile, l’Italia pagava 99 euro, la Germania 77, la Scandinavia 31,85, la Spagna 26, la Francia 42. Se questi sono i dati, allora abbiamo un problema serio di competitività. Dobbiamo smetterla di ignorarlo, dobbiamo trovare soluzioni strutturali. Perché quando noi paghiamo 158 euro in aprile, e i nostri competitor ne pagano 26, è evidente che sono avvantaggiati. E noi, in Italia, facciamo dei veri e propri miracoli per continuare a produrre ed esportare.

Abbiamo lanciato una proposta, dialogando con chi ci governa. E sottolineo: stiamo dialogando, non litigando. Stiamo cercando soluzioni, perché tutti abbiamo interesse a far sì che l’Italia funzioni. Che funzioni per Confindustria, ma anche per il Presidente del Consiglio con cui stiamo parlando. Una delle soluzioni più semplici è quella di disaccoppiare il prezzo dell’energia elettrica da rinnovabili che sono già arrivate a fine incentivo. Disaccoppiare anche una quota dell’idroelettrico.

E poi c’è il tema del nucleare: ma davvero, ancora oggi, dobbiamo dividerci tra governo e opposizione su questo? Dobbiamo essere uniti, perché è evidente che questa è una delle poche strade percorribili per rendere competitivo il nostro Paese.

Se non lo capiamo, allora vuol dire che facciamo politica, non il bene del Paese. Perché l’energia non è un problema solo delle imprese, è un problema dei cittadini. Serve agire subito.

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Sul tema Dazi, abbiamo 6 miliardi di prodotto che generano 100 miliardi di surplus. È una follia non intervenire. Speriamo di trovare una soluzione con un’Europa unita, e anche attraverso il dialogo con gli Stati Uniti. Non dimentichiamoci che gli Stati Uniti sono il nostro secondo mercato di esportazione, e il primo resta l’Europa, che assorbe il 52% del prodotto italiano.

Inoltre, anche se conosciamo solo i dati di esportazione diretta, verso gli USA generiamo quasi 65 miliardi di esportazioni. Dunque sì, è un partner fondamentale con cui dobbiamo dialogare.

Quello che abbiamo detto al Presidente del Consiglio è di trovare una soluzione. Ci sono possibilità. Ad esempio, oggi, per la difesa, l’80% della spesa dell’Europa va agli Stati Uniti. È impensabile riorganizzare tutta l’industria della difesa dall’oggi al domani solo in Europa. Ma bisogna iniziare un processo.

Lo stesso vale per l’energia. E poi c’è il tema delle Big Tech: dobbiamo trovare un accordo di mediazione tra Europa e Stati Uniti. Oggi, il saldo tra beni e servizi è negativo per l’Europa verso gli USA di circa 180 miliardi. 

Nel frattempo, dobbiamo cercare nuovi mercati. Le nostre imprese sono pronte, e ci sono opportunità positive, ad esempio in America Latina, che è già un mercato riconosciuto. Siamo a 90 giorni dai dazi, ma non sappiamo nulla. Questa è incertezza, e l’incertezza è il vero problema per le nostre imprese. Quando c’è incertezza, in azienda, la prima cosa che facciamo è correre per trovare soluzioni. Ma in Europa non stiamo correndo abbastanza. Facciamo missioni, sì, ma serve di più, serva aprire i mercati. 

Parlo anche dell’India, il nostro prodotto incontra molte barriere, ma si può lavorare. Stessa cosa per gli Emirati. Sono mercati già aperti nei nostri confronti.

Però, il problema dei dazi USA è enorme. Parliamo di 60 miliardi di esportazioni a rischio. È l’incertezza a bloccarci. Alcuni beni di eccellenza stanno ancora viaggiando, ma i beni tecnologici fanno fatica. 

E da qui nasce anche il tema dell’attrattività per gli investimenti esteri. Il 35% delle imprese estere in Italia esporta il prodotto italiano nel mondo. Il 21% del fatturato dell’industria e dei servizi è generato da investitori esteri. Il 17,4% del valore aggiunto dell’economia nazionale, pari a 173 miliardi. Il 9,7% dell’occupazione – 1,7 milioni di persone su 5,3 milioni rappresentati da Confindustria. E il 37,6% della spesa privata in ricerca e sviluppo.

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Non sono numeri piccoli. Se ci guardiamo dentro, capiamo cosa siamo e dove possiamo andare. Quando interagiamo con chi investe dall’estero, le loro sollecitazioni sono fondamentali.

Penso alla burocrazia, ai costi dell’energia, al capitale umano. Alla necessità di attrarre persone formate. Questo Paese ha potenzialità enormi, lo diciamo sempre. Ma non basta raccontare il Made in Italy. Dobbiamo elevare i nostri prodotti, e lo facciamo costruendo un percorso virtuoso di competitività.

Anche rispondendo a chi, in altri continenti, guarda alla responsabilità sociale che l’Europa cerca di portare avanti. In Italia stiamo cercando di fare la nostra parte, e questo è uno dei pilastri che abbiamo presentato all’assemblea Confindustria 24-28.

Ma se abbiamo Comuni che impiegano 17 mesi per dare una concessione, non siamo attrattivi. Se un collega va negli USA e lì il governatore di quello Stato viene in Italia per convincerlo a investire, forse ci manca un po’ di consapevolezza che attrarre persone e investimenti significa generare PIL, benessere e lavoro. 

Infine, dobbiamo parlare di produttività. In Italia abbiamo 25 mesi di mancata produttività: serve responsabilità. Noi continuiamo a investire, ma ci servono misure chiare.

Abbiamo parlato con tutte le forze politiche, di maggioranza e opposizione. Perché per noi il dialogo è con tutti. Al centro devono esserci gli investimenti. Serve un piano industriale per i prossimi tre anni, con misure semplici che i territori siano in grado di usare.”





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