Le imprese a controllo estero in Italia sono oltre 18.400 e hanno consolidato il loro ruolo nel sistema economico del Paese, registrando una crescita significativa e progressiva. È quanto rileva il VII rapporto dell’Oie (Osservatorio imprese estere) di Confindustria e Luiss, sottolineando che hanno aumentato l’incidenza sul valore aggiunto dal 15,5% del 2018 al 17,4% nel 2022, pari a circa 173 miliardi; sull’occupazione dall’8,3% del 2018 al 9,7% nel 2022 pari a circa 1,7 milioni di addetti; sull’export di merci dal 29,4% del 2018 al 35,1% nel 2022 pari a circa 200 miliardi; sulla spesa in ricerca e sviluppo dal 23,6% del 2018 al 37,6% nel 2022 raggiungendo 6,1 miliardi.
Rispetto al 2021 il valore aggiunto prodotto dalle imprese estere è cresciuto del 10,7% nell’industria e del 15,3% nei servizi, in un contesto di ulteriore aumento della dimensione media delle imprese, passata da 95,8 a 99,4 addetti per impresa. Nel 2022, rispetto all’anno precedente l’incidenza del fatturato delle controllate estere è stato del 21% rispetto al totale prodotto dalle imprese residenti in Italia.
Lo studio evidenzia che oltre la metà degli aggregati economici delle imprese a controllo estero in Italia è associata a controllanti residenti nell’Unione europea. Più della metà del valore aggiunto generato dalle imprese estere in Italia proviene da aziende controllate da Stati Uniti, Francia e Germania. In particolare, in termini di addetti, gli Usa sono il primo paese investitore in Italia con il 21,1% degli addetti a controllo estero. In termini di fatturato, la Francia è il Paese estero che ha il peso maggiore come investitore (19,4%). Per R&S sono i Paesi Bassi (26,6%) e gli Stati Uniti (22,1%) a risultare i maggiori investitori.
Tra i primi cinque settori di specializzazione delle imprese estere in Italia figurano tre comparti manifatturieri fortemente caratterizzati e strategici: industria tessile, pelle e abbigliamento; fabbricazione di macchine e attrezzature; industria farmaceutica; e due rilevanti comparti dei servizi quali servizi alle imprese ed esercizi ricettivi e di ristorazione.
Dal rapporto emerge che la presenza delle imprese estere in Italia è fortemente polarizzata con Lombardia, Lazio, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna e Toscana che assorbono complessivamente l’82,2% del valore aggiunto generato da queste realtà. La sola Lombardia pesa per il 37,7% evidenziando una forte correlazione tra la competitività regionale e la capacità di attrarre e trattenere investimenti esteri.
L’Oie avanza anche alcune proposte di intervento: semplificazione burocratica, investimento mirato nel capitale umano; potenziamento delle attività di retention; valorizzazione strategica della Zes unica; promozione internazionale dell’immagine dell’Italia.
Un passaggio del rapporto analizza l’effetto dei dazi statunitensi sulle esportazioni. Nel 2024 le imprese estere esportatrici verso gli Usa controllate da statunitensi rappresentano il 36,7% dell’export verso gli Stati Uniti del complesso delle imprese a controllo estero. L’analisi dei segmenti di imprese coi più elevati gradi di dipendenza dall’export verso gli Usa consente di individuare le imprese con rischi potenziali elevati a seguito delle politiche commerciali dell’amministrazione Trump.
Si tratta di segmenti limitati in termini di numerosità, ma rilevanti all’interno del complesso delle vendite di merci dall’Italia agli Stati Uniti realizzate dalle imprese estere, soprattutto in alcuni settori come l’industria delle bevande, la fabbricazione degli altri mezzi di trasporto, l’industria farmaceutica, la fabbricazione di autoveicoli.
Complessivamente, la quota di export nazionale verso gli Stati Uniti si attesta al 10,3%. Nel triennio 2022-2024 il 43,6% delle imprese estere esportatrici mostra flussi di export verso gli Usa in quota superiore al valore medio (29,7%), ma inferiore a quella registrata per le multinazionali italiane (51,4%). Il valore dell’export verso gli Usa realizzato dalle imprese estere nel 2024 ammonta a 19,3 mld di euro, pari al 34,2% dei 56,4 mld complessivi.
Complessivamente, tra il 2018 e il 2022 l’export merci delle imprese a controllo estero in Italia è cresciuto dal 29,4% al 35,1% pari a circa 200 miliardi. Le imprese esportatrici persistenti nel triennio 2022-2024 generano il 98% dell’export nazionale di merci.
A partire da una base dati Istat costruita ad hoc, sono state identificate tra queste imprese esportatrici persistenti (oltre 84.000) quelle a controllo estero (circa 4.500). Nel documento è emerso che il contributo delle imprese estere all’export merci è lievemente aumentato, rispetto a tutte le imprese esportatrici persistenti (italiane ed estere) residenti in Italia: le stime passano dal 33,6% nel 2022 al 33,8% nel 2024, pari a 190 mld di euro.
Segnali di continuità nell’export nel periodo 2022/2024. Le stime dell’Oie confermano che le imprese estere in Italia trainano circa un terzo dell’export persistente nel nostro Paese.
“Il Paese ha delle potenzialità enormi. Il Made in Italy ha grande capacità di performare nel mondo, ma abbiamo bisogno di elevare i nostri prodotti costruendo un percorso virtuoso di competitività”. E’ quanto ha affermato il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, intervenendo alla presentazione del rapporto. “Oggi il tema dell’attrattività è fondamentale, che vuol dire generare benessere e Pil”.
Naturalmente, con la minaccia dei dazi che ha generato “un problema enorme”, Orsini a sottolineato che “il più grande problema per gli imprenditori è l’incertezza”. Per questo “abbiamo bisogno di avere regole certe e chiare. La guerra dei dazi per un Paese che esporta 626 miliardi di prodotto e genera 100 miliardi di surplus per noi è una follia – ha detto – quindi da un certo punto di vista ci auguriamo che si possa trovare una soluzione come Europa unita in dialogo con gli Stati Uniti, perché anche come Italia non dobbiamo dimenticarci che è il secondo nostro mercato di esportazione. Le esportazioni verso gli Stati Uniti valgono circa 65 miliardi. Sono un partner per noi importante e dobbiamo dialogare”.
Una possibile soluzione alla guerra dei dazi con gli Stati Uniti è agire su leve come difesa ed energia senza dimenticare le big tech. “Quello che abbiamo detto al presidente del Consiglio è di cercare comunque una soluzione – ha aggiunto – credo ci siano delle possibilità, che comunque sono state anche individuate. Sulle spese della difesa oggi l’Europa sta comprando l’80% dagli Stati Uniti, credo che sia impensabile trasformare la nostra industria della difesa dal mattino alla sera e generarla tutta in Europa, quindi continuare a comprare difesa dagli Stati Uniti”. Inoltre, “ci sarà un processo sull’acquisto di energia verso gli Stati Uniti. Altro tema è sicuramente trovare una soluzione per le big tech perché ci possa essere un accordo di mediazione. Il saldo è negativo dall’Europa verso gli Stati Uniti”.
Quanto al tema industriale, dopo 25 mesi di calo della produttività Orsini invoca “un po’ di responsabilità da parte di tutti”, aggiungendo: “Noi dobbiamo fare il nostro mestiere: continuare a investire. Deve esserci il dialogo con tutti. Serve un piano industriale per il Paese per i prossimi tre anni, mettere al centro misure semplici che i nostri imprenditori possano utilizzare”.
E a proposito di dialogo, sulla produttività “non troviamo il sindacato”, che sollecita a ragionare sul tema, ma “speriamo di trovarlo presto”. “Dobbiamo fare contratti di produttività, che non vuol dire far andare le persone a doppia velocità, ma che il premio di produttività sia anche defiscalizzato. A quel punto noi troviamo la soluzione”. Il leader degli imprenditori ha poi sottolineato l’urgenza di “togliere i contratti pirata”.
Infine sul tema della sicurezza, che definisce “è un disastro”, ha annunciato un incontro: “Dobbiamo fare prevenzione, credo che tutti noi, quando parliamo di incidenti sul lavoro, l’unica cosa che non vogliamo è la gente che va a farsi male durante il lavoro. Su questo dobbiamo lavorare subito”.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link