Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura

 

Cosa Succede Se Non Pago Un Finanziamento A Fondo Perduto?


Sei un imprenditore e non riesci a restituire un finanziamento a fondo perduto ricevuto per la tua attività?

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Introduzione

Un finanziamento a fondo perduto è una forma di agevolazione pubblica che prevede l’erogazione di una somma di denaro a favore di un beneficiario (impresa, ente o persona fisica) senza obbligo di restituzione, a condizione che siano rispettate specifiche finalità e vincoli legati a quel finanziamento. In altre parole, si tratta di un “contributo a fondo perduto” destinato a supportare un progetto o un investimento di interesse pubblico (ad esempio l’avvio di un’attività imprenditoriale, l’ammodernamento di un’azienda, un progetto agricolo, etc.), il quale non dovrà essere rimborsato come un normale prestito, purché il beneficiario adempia a tutti gli obblighi previsti (destinazione delle somme alle finalità dichiarate, rispetto dei tempi e obiettivi del progetto, mantenimento dei beni acquistati, requisiti occupazionali, ecc.).

La domanda centrale – “Cosa succede se non pago un finanziamento a fondo perduto?” – potrebbe sembrare paradossale: per definizione, infatti, un contributo a fondo perduto non va restituito. Tuttavia, dietro questa espressione si cela il caso dell’inadempimento o uso scorretto del finanziamento: in situazioni in cui il beneficiario perde il diritto al contributo (ad esempio perché non realizza quanto promesso, vìola le condizioni o ottiene i fondi in modo indebito), l’ente erogatore può revocare l’agevolazione e richiedere la restituzione (totale o parziale) delle somme erogate. In pratica, “non pagare un finanziamento a fondo perduto” significa non restituire volontariamente le somme dovute a seguito di una revoca o di un accertamento di irregolarità.

Le conseguenze di un simile inadempimento possono essere molto serie e coinvolgere diversi profili: amministrativo (revoca del contributo e recupero forzoso delle somme), civile (obbligo di pagamento, risarcimento danni), contabile (responsabilità davanti alla Corte dei Conti per danno erariale), tributario (sanzioni fiscali, perdita di agevolazioni fiscali connesse) e persino penale (nei casi di indebita percezione o frode). Inoltre, possono venire coinvolti vari organi di controllo e repressione, come la Guardia di Finanza, l’Agenzia delle Entrate, la Corte dei Conti, le autorità di gestione dei fondi (ministeri, regioni, agenzie) e, per i fondi europei, organismi comunitari come l’OLAF (Ufficio antifrode europeo) o la Procura Europea (EPPO).

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In questa guida forniremo un’analisi completa e aggiornata (aprile 2025) su tutte le possibili conseguenze derivanti dal mancato rispetto delle condizioni di un finanziamento a fondo perduto. Verranno esaminate le varie tipologie di finanziamenti a fondo perduto – dai fondi europei (ad es. strutturali o del PNRR) a quelli nazionali e regionali, comprendendo i settori di frequente interesse (startup, agricoltura, PMI) – e i rispettivi meccanismi di controllo. Affronteremo in modo divulgativo ma accurato i profili legali (procedimenti di revoca, azioni di recupero), fiscali (trattamento tributario e sanzioni), penali (reati configurabili in caso di indebita percezione o uso illecito dei fondi) e contabili (giudizio di responsabilità erariale davanti alla Corte dei Conti). Il tutto sarà arricchito da esempi concreti e riferimenti a casi reali, nonché dalle principali sentenze e norme pertinenti aggiornate al 2025. Nell’ultima sezione, è fornito un elenco bibliografico di fonti normative, giurisprudenziali e dottrinali utilizzate.

Nota bene: Ogni programma di finanziamento può avere regole specifiche, per cui oltre ai principi generali esposti è importante fare riferimento ai bandi e alle convenzioni firmate. In generale, tuttavia, il messaggio è chiaro: un contributo a fondo perduto va usato correttamente secondo gli scopi prefissati; in caso contrario, si rischiano revoche, restituzioni forzate, sanzioni economiche e responsabilità anche penali, con conseguenze potenzialmente molto gravi per il beneficiario e per chiunque abbia concorso nell’illecito.

Tipologie di Finanziamenti a Fondo Perduto

In Italia esistono numerosi schemi di finanziamento a fondo perduto, provenienti da diversi livelli di governo e destinati a varie categorie di beneficiari. È fondamentale capire le caratteristiche di ciascuna tipologia, poiché le modalità di controllo e le conseguenze in caso di inadempienza possono variare leggermente a seconda della fonte del finanziamento (europea, statale, regionale) e del quadro normativo di riferimento. Di seguito passeremo in rassegna le principali categorie di contributi a fondo perduto:

Finanziamenti Europei a Fondo Perduto

A livello europeo, l’Unione Europea eroga ingenti risorse a fondo perduto attraverso diversi programmi e fondi, con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo equilibrato e sostenibile tra gli Stati membri. Possiamo distinguere in particolare due grandi famiglie di finanziamenti UE a fondo perduto:

  • Fondi strutturali e d’investimento europei: come il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) e il Fondo Sociale Europeo (FSE), che insieme al Fondo di Coesione, al FEASR (Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale) e ad altri strumenti costituiscono la politica di coesione e la politica agricola comune dell’UE. Tali fondi sono generalmente gestiti in parte a livello decentrato, cioè dallo Stato membro (ministeri competenti) o dalle Regioni, tramite programmi operativi pluriennali. I progetti cofinanziati (ad es. incentivi alle imprese, formazione, infrastrutture locali) ricevono una quota di contributo europeo a fondo perduto, spesso insieme a un cofinanziamento nazionale o privato. Esempio: un’impresa che ottiene un finanziamento FESR per acquistare macchinari innovativi riceverà una quota di contributo che non dovrà restituire, se rispetta le condizioni (completare l’investimento, mantenerlo per un certo periodo, ecc.).
  • Programmi diretti europei: la Commissione Europea gestisce direttamente programmi tematici che finanziano progetti tramite grant (sovvenzioni) a fondo perduto, di solito con bandi competitivi a cui partecipano beneficiari di vari Paesi. Esempi sono i programmi per la ricerca e innovazione (Horizon Europe), per le PMI innovative (EIC Accelerator), per la cultura (Creative Europe), per la cooperazione territoriale (Interreg), ecc. In questi casi il contratto di finanziamento è stipulato direttamente con l’UE e prevede regole dettagliate su rendicontazione e risultati attesi.

Caratteristiche comuni dei fondi UE: i contributi europei a fondo perduto richiedono sempre che il beneficiario impieghi le somme esclusivamente per le finalità approvate (es. realizzare il progetto indicato, acquistare i beni o servizi previsti, conseguire determinati output). Inoltre, vi è un articolato sistema di controlli a più livelli: il beneficiario deve rendicontare le spese sostenute; l’ente nazionale o regionale gestore effettua controlli amministrativi e sul campo; l’Unione Europea, attraverso organi come la Commissione, l’OLAF (Ufficio Europeo Antifrode) e la Corte dei Conti europea, può condurre audit e ispezioni per verificare il corretto uso dei fondi comunitari. In caso di irregolarità o frodi, scattano procedure di recupero delle somme indebitamente percepite a tutela del bilancio UE, e possono essere attivati procedimenti penali sia a livello nazionale sia a livello europeo (dal 2021 è operativa la Procura Europea – EPPO, competente per reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione).

Va sottolineato che i fondi europei spesso prevedono obblighi di durata: ad esempio, un macchinario acquistato con contributo UE deve restare nell’unità produttiva e funzionante per almeno 5 anni; un progetto cofinanziato deve mantenere i risultati per un certo periodo. La violazione di questi obblighi (ad es. rivendere il macchinario prima del tempo, chiudere anticipatamente l’attività) viene considerata un inadempimento che può comportare la revoca del contributo e la richiesta di rimborso (totale o parziale) dell’aiuto ricevuto.

Finanziamenti Nazionali a Fondo Perduto

Lo Stato italiano, tramite i vari Ministeri e agenzie governative, promuove numerosi incentivi a fondo perduto per sostenere lo sviluppo economico e sociale. Questi finanziamenti nazionali possono derivare da leggi di incentivazione o da risorse del bilancio statale (talora integrati da fondi UE, ma con gestione nazionale). Alcuni esempi di finanziamenti a fondo perduto nazionali includono:

  • Contributi per nuovi investimenti produttivi, innovazione e ricerca gestiti dal Ministero dello Sviluppo Economico (oggi Ministero delle Imprese e del Made in Italy) o altre amministrazioni. In passato misure come la Legge 488/1992 (aiuti alle imprese nelle aree svantaggiate) offrivano cospicui contributi a fondo perduto, e oggi esistono bandi per digitalizzazione, transizione ecologica, brevetti, ecc. che danno sovvenzioni a fondo perduto alle imprese selezionate.
  • Invitalia (Agenzia nazionale per lo sviluppo) gestisce vari incentivi a fondo perduto o misti. Ad esempio, il programma “Resto al Sud” per incentivare l’imprenditoria giovanile nel Mezzogiorno prevede una combinazione di finanziamento a tasso zero e contributo a fondo perduto; oppure “Smart&Start Italia” per startup innovative, che offre una parte di fondo perduto su un finanziamento agevolato. In questi casi vi è un contratto stipulato tra Invitalia e il beneficiario, con obblighi precisi (realizzare il piano d’impresa, mantenere l’attività per un minimo di anni, ecc.).
  • Contributi statali settoriali: ad esempio, contributi a fondo perduto per il settore turistico e culturale (come i finanziamenti per il restauro di alberghi, i fondi per le imprese creative), contributi per l’autoimprenditorialità femminile (es. Fondo impresa femminile), contributi per l’export e l’internazionalizzazione gestiti da SIMEST, ecc.

I finanziamenti nazionali a fondo perduto sono disciplinati da specifici bandi o norme di legge (ad esempio decreti ministeriali attuativi). Normalmente, il procedimento prevede una domanda da parte del potenziale beneficiario, una fase istruttoria di valutazione, l’emanazione di un provvedimento di concessione (spesso formalizzato in un decreto o in un contratto) che stabilisce l’importo concesso e le condizioni da rispettare, e poi l’erogazione delle somme (in una o più tranche) man mano che il beneficiario realizza l’investimento e presenta i documenti di spesa.

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Anche per i fondi nazionali, analogamente a quelli europei, si applicano rigorosi controlli sull’uso corretto delle somme. In prima battuta, l’ente erogatore (ministero, agenzia) verifica le rendicontazioni e può effettuare sopralluoghi. Inoltre, spesso interviene la Guardia di Finanza su delega dell’ente o d’iniziativa, soprattutto nei programmi più estesi: la GdF, in quanto polizia economico-finanziaria, ha compiti di verifica del corretto impiego di fondi pubblici. Non di rado, su programmi nazionali di incentivo (specie se alimentati anche da risorse UE) vengono sottoscritti protocolli d’intesa tra Ministero dell’Economia, Ministero competente, Agenzia Entrate e Guardia di Finanza per incrociare i dati ed evitare frodi. Ad esempio, l’Agenzia delle Entrate ha effettuato controlli incrociando le domande di contributi con i dati delle dichiarazioni fiscali, segnalando alla GdF i casi anomali.

In caso di uso scorretto o violazioni, i finanziamenti nazionali a fondo perduto possono essere revocati dall’autorità concedente, con obbligo di restituzione delle somme. La base normativa generale per la gestione delle agevolazioni alle imprese è il D.Lgs. 123/1998, che all’art. 9 prevede la revoca dei benefici nei casi di irregolarità (mancata realizzazione, documentazione falsa, inadempienza degli obblighi contrattuali, ecc.) e il successivo recupero delle somme erogate (con rivalutazione e interessi). Inoltre, dal 2015 la legge (D.L. 3/2015, conv. L. 33/2015) ha previsto che i crediti dello Stato derivanti da revoche di contributi abbiano privilegio generale sui beni del debitore, a garanzia del fatto che tali crediti per aiuti pubblici vengano soddisfatti con priorità (ad esempio in caso di fallimento dell’impresa debitrice). Torneremo più avanti sul tema del privilegio e recupero forzoso.

Finanziamenti Regionali a Fondo Perduto

Le Regioni italiane svolgono un ruolo centrale nell’erogazione di contributi a fondo perduto, principalmente utilizzando risorse sia comunitarie sia regionali. In particolare, nell’ambito dei Programmi Operativi Regionali (POR) cofinanziati dai fondi strutturali UE (FESR, FSE), ogni Regione pubblica bandi per le imprese, per gli enti locali e altri beneficiari, con contributi a fondo perduto destinati a ricerca e sviluppo, digitalizzazione, efficientamento energetico, formazione, start-up locali, sviluppo rurale, etc. Accanto a questi, vi possono essere bandi finanziati direttamente con fondi propri regionali o statali delegati.

Esempi comuni di finanziamenti regionali a fondo perduto:

  • Contributi alle PMI artigiane o industriali per acquistare attrezzature (spesso POR FESR).
  • Bonus occupazionali o formativi cofinanziati dal FSE.
  • Aiuti a fondo perduto in agricoltura nell’ambito dei Programmi di Sviluppo Rurale (PSR) regionali (parte della PAC, Politica Agricola Comune).
  • Contributi per l’avvio di nuove imprese a livello locale, anche attraverso gli sportelli unici attività produttive o camere di commercio in convenzione con la Regione.

La gestione regionale implica che siano le strutture regionali (assessorati competenti o finanziarie regionali come Finpiemonte, Veneto Sviluppo, Puglia Sviluppo, etc.) a curare l’istruttoria, la concessione e i controlli. Tuttavia, vigono principi analoghi: il beneficiario deve sottoscrivere un atto di impegno o convenzione, dove si obbliga a realizzare quanto proposto e a rispettare i vincoli (spesso con l’indicazione che la violazione comporta la decadenza dal contributo).

Le Regioni adottano provvedimenti di revoca in caso di inadempimenti. Un caso tipico: un’impresa artigiana ottiene un contributo regionale per un investimento, ma non presenta la rendicontazione finale delle spese entro i termini stabiliti – la finanziaria regionale (es. Finpiemonte) avvia la procedura di revoca e, se l’impresa non giustifica il ritardo, revoca definitivamente il finanziamento intimando la restituzione delle somme già erogate, comprensive di interessi. Nell’esempio reale di Finpiemonte, un’impresa individuale che non aveva presentato il rendiconto è stata destinataria di un provvedimento di revoca con ordine di restituire circa 16.000 euro tra capitale e interessi. Non avendo l’impresa spontaneamente pagato nonostante solleciti, la Regione ha segnalato il caso alla Procura della Corte dei Conti, che ha agito per ottenere la condanna al pagamento di quella somma come danno erariale (come vedremo, la Corte dei Conti ha poi emesso sentenza di condanna nel 2023).

Anche sulle erogazioni regionali vigila la Guardia di Finanza e, se di fonte UE, la Procura Europea può intervenire. Non va dimenticato che spesso i contributi regionali seguono le stesse normative nazionali (D.Lgs. 123/1998) e comunitarie sugli aiuti, e dunque gli effetti di una revoca regionale non differiscono da quelli statali: si dovrà restituire il contributo indebitamente fruito, si potranno subire sanzioni amministrative e penali se vi è stata frode, e la responsabilità contabile potrà essere accertata.

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Finanziamenti del PNRR a Fondo Perduto

Una categoria a sé, di grande attualità, è rappresentata dai finanziamenti a fondo perduto erogati nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Il PNRR è il programma di investimenti e riforme con cui l’Italia sta impiegando le risorse europee del dispositivo Next Generation EU (in particolare del Recovery and Resilience Facility, regolamento UE 2021/241). Il PNRR italiano (2021-2026) mobilita circa 191,5 miliardi di euro, di cui una parte significativa (circa 68,9 miliardi) in forma di sovvenzioni a fondo perduto provenienti dall’Europa, oltre a prestiti e cofinanziamenti nazionali. Tali risorse finanziano centinaia di misure in ambiti quali transizione ecologica, digitalizzazione, infrastrutture, istruzione e coesione sociale.

Per realizzare i progetti del PNRR, i Ministeri e gli enti attuatori hanno bandito numerosi avvisi e bandi destinati a soggetti sia pubblici che privati. Molte misure prevedono contributi a fondo perduto, ad esempio:

  • Bandi per i Comuni (es. rigenerazione urbana, asili nido, edilizia scolastica) dove lo Stato eroga contributi PNRR agli enti locali.
  • Bandi per imprese: ad esempio Transizione 4.0 (credito d’imposta, ma anche contributi), Contratti di sviluppo con quota PNRR, bandi per filiere industriali, per bus elettrici, per start-up innovative, ecc., dove alle imprese vengono dati contributi.
  • Misure a gestione di enti come SIMEST (ad es. finanziamenti per l’internazionalizzazione cofinanziati PNRR, con parte a fondo perduto).

La peculiarità del PNRR è la portata straordinaria dei fondi e la necessità di spenderli entro tempi stretti e con obiettivi precisi negoziati con l’UE. Di conseguenza, è stato creato un sistema di governance e controllo dedicato (D.L. 77/2021 e successive modifiche): la responsabilità attuativa è in capo ai vari Ministeri e enti locali, mentre il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) coordina il monitoraggio. Per i controlli antifrode, il PNRR coinvolge intensamente la Guardia di Finanza: la GdF è parte integrante del sistema di controllo e dispone di poteri speciali di verifica su tutte le operazioni PNRR. In concreto, la Guardia di Finanza conduce analisi di rischio mirate a identificare beneficiari sospetti (come nel caso di una società controllata a Fermo che aveva presentato bilanci falsi per ottenere fondi PNRR). In quell’episodio, grazie ai controlli, la società erogatrice (Simest) ha potuto bloccare la seconda tranche del finanziamento e risolvere il contratto, mentre il legale rappresentante è stato denunciato per truffa aggravata ai danni dello Stato e false comunicazioni sociali.

Essendo fondi UE, i casi di frode sul PNRR vedono attivata anche la Procura Europea (EPPO). Un esempio eclatante è un’operazione del 2024 in cui la GdF di Fermo ha scoperto una truffa da 300 mila euro su fondi PNRR destinati alla transizione digitale: l’impresa aveva falsificato i dati di bilancio per risultare idonea e ottenere un cofinanziamento a fondo perduto. Il responsabile è stato segnalato all’Autorità Giudiziaria per truffa aggravata e la Procura (in questo caso nazionale, trattandosi di indagine locale) ha potuto intervenire tempestivamente.

In generale, per i contributi PNRR valgono tolleranza zero e controlli serrati: le amministrazioni devono segnalare ogni irregolarità, e oltre alle sanzioni standard (revoca, recupero, sanzioni penali) vi sono anche meccanismi di claw-back europei (se un obiettivo PNRR fallisce per frodi o cattiva gestione, l’UE potrebbe ridurre le rate successive di finanziamento). Inoltre, per accelerare i progetti, è stata introdotta una temporanea limitazione della responsabilità erariale per danno da colpa grave dei funzionari pubblici nel PNRR, ma ciò non protegge affatto i beneficiari privati disonesti, i quali restano pienamente perseguibili per dolo o colpa grave.

In conclusione, chi beneficia di fondi PNRR a fondo perduto deve essere consapevole che ogni uso distorto può portare a immediata revoca e segnalazione alle autorità. Ad esempio, è notizia di maggio 2025 l’arresto di 12 imprenditori agricoli in Campania per aver indebitamente percepito oltre 12 milioni di euro di fondi UE/PNRR nel settore agricolo: la Guardia di Finanza, su ordine della Procura Europea di Napoli, ha eseguito misure cautelari per truffa aggravata ai danni dello Stato e associazione per delinquere, con sequestro di beni per 9,6 milioni. Questo caso dimostra la fermezza nell’azione di contrasto e il coinvolgimento diretto dell’EPPO nelle frodi sui fondi del Recovery Plan.

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Contributi a Fondo Perduto per Startup e Nuove Imprese

Le startup e, più in generale, le nuove imprese innovative o giovanili, sono spesso destinatarie di incentivi a fondo perduto, visto il loro ruolo strategico per lo sviluppo economico e tecnologico. Diverse iniziative a livello nazionale e regionale prevedono contributi specifici per favorire la creazione di nuove aziende:

  • Smart&Start Italia: programma nazionale gestito da Invitalia, dedicato alle startup innovative su tutto il territorio italiano. Offre un mix di finanziamento agevolato e, per alcune categorie (es. imprese nel Sud o composte da donne/giovani), una quota di contributo a fondo perduto. Il contratto di finanziamento impone alla startup di realizzare il piano d’impresa (acquisto beni strumentali, spese di marketing, ecc.) e mantenerne i risultati per almeno 2 anni. Se la startup non rispetta gli obblighi (es. non completa gli investimenti, o cessa l’attività prima del termine minimo), Invitalia può revocare in tutto o in parte l’agevolazione: ciò comporta che la parte di fondo perduto diventa somme da restituire, e la parte di finanziamento agevolato va comunque rimborsata (essendo un prestito).
  • Resto al Sud: incentivo per nuove attività imprenditoriali nel Mezzogiorno (e zone del Centro) rivolto a giovani under 56, che consiste in un 50% di contributo a fondo perduto e 50% di prestito a tasso zero bancario garantito. Anche qui, la revoca scatta se l’attività non viene avviata o proseguita secondo le regole (ad esempio, il mancato completamento del programma di spesa entro 2 anni, o la cessazione/spostamento dell’attività fuori dall’area agevolata nei 5 anni successivi). In caso di revoca, il beneficiario deve restituire il contributo a fondo perduto e rimborsare il finanziamento bancario (che altrimenti la banca recupererà escutendo la garanzia statale, e poi lo Stato si rivarrà sul beneficiario). Le conseguenze includono anche il possibile inserimento del beneficiario nella centrale rischi bancari come cattivo pagatore se non onora il debito verso la banca. Inoltre, Invitalia potrebbe agire legalmente per il recupero coattivo delle somme e segnalare eventuali condotte fraudolente alle autorità competenti.
  • Contributi regionali per startup: molte Regioni hanno bandi dedicati a nuove imprese (spesso finanziati dal FESR o FSE). Ad esempio, voucher o contributi per startup innovative, contributi per l’imprenditoria femminile o giovanile a livello locale, premi per piani d’impresa. Tali contributi in genere richiedono di avviare l’attività entro un certo termine, ed effettuare le spese previste. Se la nuova impresa non parte o non spende come dichiarato, viene revocato il contributo. Un caso comune: un neo-imprenditore riceve il primo acconto del contributo ma poi non presenta adeguata documentazione di spesa; l’ente revoca e chiede la restituzione dell’acconto.

Cosa accade se la startup fallisce? Può capitare che, nonostante l’impegno, la nuova impresa fallisca commercialmente dopo poco tempo. In questi casi occorre distinguere: se la startup ha comunque rispettato gli obblighi minimi (es. ha completato l’investimento previsto e operato per il periodo richiesto dal bando), la successiva cessazione dopo tale periodo non dovrebbe comportare restituzione del contributo. Se invece l’impresa chiude prima di aver soddisfatto le condizioni (ad es. chiude dopo 1 anno quando era obbligata a rimanere attiva per 3 anni), allora l’ente potrà disporre la revoca parziale proporzionale al periodo non rispettato, o totale, a seconda della normativa del bando. Dal punto di vista legale, il fallimento o liquidazione della società beneficiaria non evita il recupero: il credito per contributo indebito di solito viene insinuato nel passivo fallimentare e, come detto, gode di privilegio (quindi con buone chance di essere soddisfatto se ci sono attivi). Inoltre, come vedremo, la Corte dei Conti potrebbe chiamare in causa direttamente i soci/amministratori per danno erariale, se il contributo è stato dissipato con la chiusura anticipata.

Contributi a Fondo Perduto in Agricoltura e Settore Agroalimentare

Il settore agricolo è uno dei maggiori beneficiari di contributi pubblici a fondo perduto, principalmente attraverso gli strumenti della Politica Agricola Comune (PAC) dell’Unione Europea. Le aziende agricole e agroalimentari possono ricevere:

  • Pagamenti diretti PAC (es. contributo per ettaro, premio unico), che in parte non sono oggetto di rendicontazione di spese ma richiedono di mantenere i terreni in coltivazione secondo certe regole.
  • Fondi dei Programmi di Sviluppo Rurale (PSR), cofinanziati da UE e Stato, che finanziano progetti come l’ammodernamento delle aziende agricole, l’insediamento di giovani agricoltori, investimenti in agriturismi, filiere corte, ecc. Questi sono veri e propri contributi a fondo perduto su progetto, gestiti dalle Regioni tramite bandi PSR.
  • Altri fondi settoriali UE: ad esempio, contributi alle Organizzazioni di Produttori (OP) ortofrutticole, che ricevono fondi per programmi operativi a vantaggio dei soci.

Proprio perché il flusso di denaro pubblico in agricoltura è molto consistente, purtroppo si registrano anche varie frodi e irregolarità storicamente. Alcuni modus operandi illegali riscontrati:

  • Dichiarazione di terreni inesistenti o non propri per ottenere i pagamenti PAC.
  • Costituzione di aziende agricole fittizie o prestanome per accedere a contributi destinati a certe categorie (es. giovani agricoltori di primo insediamento) senza avere i requisiti reali.
  • Fatture false e sovrafatturazioni di macchinari o opere, per gonfiare le spese e incassare maggior contributo PSR.
  • Creazione di società cooperative o OP solo di facciata, per intercettare fondi destinati alla filiera, senza poi svolgere effettivamente le attività richieste (come è avvenuto nel caso citato in Campania, dove un’OP ortofrutticola in realtà non svolgeva alcuna funzione reale, ma serviva a giustificare la richiesta di aiuti comunitari).

La gestione dei fondi agricoli è curata da appositi enti pagatori (in primis AGEA a livello nazionale e gli organismi pagatori regionali). Essi effettuano controlli amministrativi su tutte le domande e controlli sul campo a campione. Inoltre, reparti specializzati come i Nuclei antifrodi della Guardia di Finanza e i Carabinieri per la tutela agroalimentare conducono indagini frequenti nel settore. L’Unione Europea, attraverso OLAF e ora EPPO, dedica particolare attenzione alle frodi agricole transnazionali.

Se un agricoltore o un’impresa agricola non rispetta le condizioni del contributo, le conseguenze possono essere:

  • Decadenza e recupero: l’organismo pagatore emette un provvedimento di revoca dell’aiuto e richiede la restituzione delle somme già erogate, spesso applicando sanzioni amministrative aggiuntive (nel settore agricolo vige un sistema di penalità proporzionali, e sanzioni fino al doppio di quanto indebitamente percepito, in linea col Reg. UE 2988/95 sulla tutela degli interessi finanziari comunitari).
  • Sanzioni accessorie: ad es. esclusione da altri regimi di aiuto per un certo periodo. In agricoltura è prassi che chi froda i fondi venga segnalato e escluso da nuove domande fino a 5 anni (misura chiamata spesso “blacklist” o sospensione dall’accesso a contributi).
  • Interventi penali: molti casi diventano veri e propri procedimenti penali per truffa ai danni dello Stato/UE. Ad esempio, nel caso campano del 2025 citato, gli imprenditori agricoli sono accusati di aver intascato illecitamente 12 milioni di euro di contributi tra 2018 e 2022, mediante falsificazione di documenti contabili per far apparire soddisfatti i requisiti comunitari – da qui le accuse di truffa aggravata e associazione per delinquere. La Procura Europea ha diretto l’inchiesta e il GIP ha disposto arresti domiciliari e sequestro di beni per milioni di euro. Questo evidenzia che per importi rilevanti scatta anche la custodia cautelare degli indagati e il sequestro preventivo del profitto (strumenti per assicurare la futura confisca).

Un agricoltore può incorrere anche nel reato di malversazione (ex art. 316-bis c.p.) se riceve un contributo per migliorare l’azienda e poi spende i soldi in altro modo: ad esempio, ottiene 50.000 € per un impianto di irrigazione ma li usa per comprarsi un’auto di lusso personale – questo è esattamente lo scenario che configura l’uso distorto di fondi pubblici, punito penalmente (come vedremo in dettaglio).

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In sintesi, il settore agricolo è soggetto a controlli capillari, e “non pagare un finanziamento a fondo perduto” in agricoltura – ovvero non restituire contributi indebitamente percepiti – non è praticamente un’opzione: l’organismo pagatore iscriverà a ruolo il debito e lo riscuoterà coattivamente, mentre le forze di polizia potranno agire per sequestrare beni. Inoltre, la Corte dei Conti procede spesso contro i frodatori di fondi agricoli per danno erariale, con condanne a risarcire il valore degli aiuti indebitamente percepiti (solitamente in solido tra l’azienda e i suoi rappresentanti).

Contributi a Fondo Perduto per PMI, Commercio ed altri settori

Le PMI (Piccole e Medie Imprese) costituiscono il tessuto economico principale in Italia e da sempre sono destinatari di numerosi contributi a fondo perduto a vari livelli. Molte delle tipologie già descritte (fondi UE, nazionali, regionali) sono rivolte alle PMI, quindi in parte gli aspetti sono coperti. Possiamo tuttavia evidenziare alcuni settori specifici:

  • Artigianato e commercio: esistono fondi a fondo perduto gestiti da Ministero o Regioni per sostenere piccole attività commerciali (es. bonus per digitalizzazione negozi, contributi per fiere ed e-commerce) o per l’artigianato locale. Anche le Camere di Commercio erogano a volte voucher a fondo perduto alle imprese (ad es. voucher digitali, contributi per consulenze, etc.). Questi sono importi più piccoli ma soggetti comunque a vincoli (ad esempio presentare documenti di spesa, partecipare effettivamente a una fiera nel caso di contributo per fiere). Se l’impresa non adempie (es. non partecipa all’evento o presenta fatture non valide), il contributo viene revocato e l’impresa deve restituirlo.
  • PMI manifatturiere/industriali: attraverso la legge Sabatini, i contratti di sviluppo, i bandi Fabbrica 4.0 ecc., lo Stato supporta investimenti con mix di finanziamenti agevolati e contributi. Il denominatore comune: ottenere il contributo dipende dal completare l’investimento e certificare le spese. Se un’azienda dichiara spese non effettuate o non conformi, il contributo è semplicemente non liquidato o, se già dato in acconto, recuperato. Ad esempio, nella “Nuova Sabatini” (contributo in conto interessi per acquisto macchinari) se l’impresa non mantiene il bene per almeno 3 anni o rivende il macchinario, decade dal beneficio e deve restituire le rate di contributo ricevute.
  • Terzo settore ed enti non profit: anche associazioni e ONLUS ricevono contributi a fondo perduto (per progetti sociali, culturali, sportivi). Pur non essendo imprese, queste entità rispondono comunque in caso di uso scorretto dei fondi. Ad es. un’associazione sportiva che ottiene un contributo pubblico per rifare un campo e spende altrove i soldi rischia la revoca e i dirigenti possono essere chiamati a risponderne.
  • Emergenza Covid-19: vale la pena citare i contributi a fondo perduto emergenziali concessi negli anni 2020-2021 a PMI, professionisti e commercianti per compensare le perdite dovute ai lockdown (decreti Rilancio, Ristori, Sostegni). Si è trattato di contributi erogati dall’Agenzia delle Entrate in base a parametri di fatturato. Anche se straordinari, sono un esempio calzante: l’adesione avvenne tramite autodichiarazioni dei requisiti e, a posteriori, l’Agenzia ha effettuato controlli incrociati. Se il contributo non spettava, è stato richiesto indietro e sono scattate sanzioni. In particolare, per i contributi COVID il legislatore ha previsto che chi li ha ottenuti indebitamente debba restituire l’importo e pagare una sanzione amministrativa pari al 100%–200% delle somme (senza possibilità di definizione agevolata). Inoltre, si applica la normativa penale sull’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter c.p.) con reclusione fino a 3 anni, o sanzione amministrativa se sotto la soglia di punibilità. L’Agenzia Entrate ha consentito una sorta di ravvedimento operoso per chi spontaneamente restituisse i contributi non spettanti, con riduzione delle sanzioni. Moltissimi soggetti hanno infatti provveduto a restituire volontariamente quando si sono accorti di errori, per evitare guai peggiori.

Riassumendo per le PMI: i contributi a fondo perduto, piccoli o grandi che siano, comportano responsabilità analoghe. L’impresa beneficiaria deve attenersi scrupolosamente alle finalità e condizioni. Se ciò non avviene, l’ente erogante disporrà la revoca e recupero, spesso comunicando il fatto anche alla Guardia di Finanza per le valutazioni di competenza. Nei casi più seri (frode deliberata) i titolari dell’impresa vanno incontro a processi penali; nei casi meno dolosi (inadempienza o errori), si limiterà a un contenzioso amministrativo/contabile, ma comunque con danno economico e reputazionale all’impresa.

Dopo questa panoramica sulle principali categorie di finanziamenti a fondo perduto, passiamo ora ad esaminare nello specifico cosa accade quando si vìolano le regole di tali finanziamenti: dalla revoca alla riscossione coattiva, dalle sanzioni amministrative ai reati penali configurabili, fino al coinvolgimento della Corte dei Conti e dei professionisti eventualmente corresponsabili.

Inadempimento e Uso Scorretto: Conseguenze e Procedimenti

In questa sezione affrontiamo nel dettaglio le varie conseguenze giuridiche di un inadempimento relativo a un finanziamento a fondo perduto. Per “inadempimento” intendiamo qualsiasi violazione delle condizioni legate al contributo pubblico: può trattarsi di mancata realizzazione del progetto, di utilizzo dei fondi per scopi diversi, di ottenimento del contributo con dichiarazioni false o fraudolente, oppure di inadempienze formali (ad esempio, omessa presentazione di documenti, ritardi non giustificati). A seconda della gravità e della natura della violazione, si attivano differenti procedure e sanzioni.

Esamineremo di seguito i principali passi: cause di revoca del contributo, procedura di revoca e recupero, controlli ed ispezioni sul beneficiario, sanzioni amministrative applicabili, profili fiscali (tributari), responsabilità penale e relative fattispecie di reato, giudizio di responsabilità erariale davanti alla Corte dei Conti, e il coinvolgimento di eventuali terzi e professionisti nella vicenda.

Violazione delle condizioni del finanziamento: cause di revoca

Le situazioni che tipicamente determinano la perdita del diritto al contributo (e quindi l’obbligo di restituzione) possono essere molteplici. Elenchiamo le casistiche comuni di violazione delle condizioni di un finanziamento a fondo perduto:

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  • Mancata realizzazione, totale o parziale, del progetto o investimento: se il beneficiario non esegue quanto aveva promesso in sede di domanda. Esempio: un’azienda ottiene il contributo per acquistare 10 macchinari ma ne acquista solo 5, oppure un Comune riceve fondi per costruire un’opera pubblica ma i lavori non iniziano o rimangono incompiuti. In questi casi si configura un inadempimento degli obblighi progettuali.
  • Scostamento significativo dagli obiettivi o parametri: anche senza inadempimento totale, se i risultati ottenuti sono inferiori al minimo richiesto. Ad esempio, un bando poteva richiedere l’assunzione di almeno 5 dipendenti grazie al contributo: se l’impresa ne assume 2 soltanto, potrebbe scattare la revoca (magari proporzionale).
  • Utilizzo improprio dei fondi: questa è la classica destinazione diversa da quella prevista. I casi emblematici: spendere il denaro per finalità estranee al progetto finanziato (es.: l’imprenditore si paga debiti personali con i soldi che dovevano andare a nuovi macchinari, oppure li usa per comprare beni non autorizzati). Questa condotta configura, oltre alla violazione contrattuale, il reato di malversazione di erogazioni pubbliche ex art. 316-bis c.p., perché i contributi “non sono destinati alle finalità previste”. Basta anche una distrazione parziale: ad esempio, se su 100.000 € ricevuti, 30.000 € vengono spesi per scopi non previsti, l’ente può revocare almeno quella parte di contributo e, nei casi gravi, l’intero contributo per perdita di fiducia.
  • Rendicontazione irregolare o incompleta: quasi tutti i finanziamenti a fondo perduto richiedono di presentare documenti di spesa (fatture, quietanze) e relazioni di chiusura. Se il beneficiario non presenta affatto la documentazione entro i termini (come nell’esempio di Finpiemonte, in cui l’impresa non inviò il rendiconto finale, causando la revoca), oppure presenta documenti incompleti o oltre la scadenza senza motivo valido, l’ente può decretare la decadenza dal contributo. Anche presentare documenti non conformi o spese fuori budget è causa di taglio o revoca: ad es. se tra le fatture ce ne sono di non ammissibili (perché riferite a beni non previsti, o datate fuori periodo), l’importo corrispondente non viene riconosciuto e, se era già anticipato, va restituito.
  • Violazioni di specifici obblighi post-erogazione: ad esempio il beneficiario chiude o cede l’attività prima del periodo minimo stabilito, oppure trasferisce altrove i beni acquistati senza autorizzazione, o ancora non mantiene i livelli occupazionali promessi. Molti bandi infatti prevedono obblighi di mantenimento (ad es. tenere l’azienda attiva per 5 anni, non vendere un macchinario per X anni, mantenere il numero di dipendenti aumentato grazie al contributo per Y anni, etc.). Se questi impegni non sono rispettati, la sanzione tipica è la revoca retroattiva totale o parziale del contributo.
  • False dichiarazioni o irregolarità nella domanda: se a seguito di controlli emerge che il contributo non spettava fin dall’origine perché ottenuto con dichiarazioni mendaci, dati falsificati o omissioni. Esempio: il richiedente dichiarava di avere certi requisiti (fatturato, sede in area X, ecc.) o di non aver ricevuto altri aiuti, ma in realtà non era vero. Questo è un caso di indebita percezione di contributo. Giuridicamente, l’ente annulla o revoca la concessione perché viziata da falsità, e il soggetto deve restituire tutto ciò che ha ricevuto indebitamente. Inoltre, come vedremo, scatta il profilo penale (art. 316-ter o 640-bis c.p. a seconda dei casi). Le false dichiarazioni rese in atti pubblici, peraltro, costituiscono esse stesse reato (falsità ideologica ex art. 483 c.p.), ma spesso sono assorbite dal reato specifico di indebita percezione.
  • Altre inadempienze contrattuali: a volte le convenzioni di finanziamento includono clausole varie (es. obbligo di comunicare variazioni, di tenere un conto dedicato, di rispettare normative ambientali e antimafia, ecc.). Alcune violazioni formali potrebbero non portare a revoca immediata se sanabili, ma violazioni gravi (es. interdittiva antimafia a carico dell’azienda beneficiaria, successiva alla concessione) possono comportare la decadenza dal beneficio per perdita dei requisiti morali.

In tutti i casi sopra elencati, il denominatore comune è che il beneficiario, venendo meno alle condizioni su cui si fondava la concessione del contributo, perde il diritto a tenere con sé le somme ricevute. Pertanto l’amministrazione o ente erogatore avvierà l’iter per recuperare tali somme. Va notato che alcune volte esiste la possibilità di una revoca parziale: se ad esempio solo una parte delle attività non è stata compiuta, si potrebbe ridurre il contributo proporzionalmente invece di revocarlo tutto. Questo dipende dalle regole del bando e dal margine di discrezionalità dell’ente. Tuttavia, nei casi di frode o uso totalmente scorretto, la revoca sarà in genere totale, con richiesta integrale di restituzione.

Procedura di revoca del contributo e richiesta di restituzione

Analizziamo come, nella pratica, avviene la revoca di un finanziamento a fondo perduto e la successiva azione di recupero delle somme. Il procedimento può variare leggermente se il rapporto è regolato da un atto amministrativo (provvedimento di concessione) o da un contratto; tuttavia, gli step fondamentali sono simili, improntati al rispetto del contraddittorio e alla successiva esecuzione coattiva del credito pubblico.

1. Accertamento dell’irregolarità: tutto parte quando l’ente erogatore rileva (di propria iniziativa tramite i rendiconti, o a seguito di un controllo esterno) che è occorsa una delle cause di revoca. Ad esempio, un’ispezione sul luogo del progetto può constatare che i macchinari non ci sono, oppure un controllo documentale scopre fatture false. A volte l’accertamento può originare da una segnalazione della Guardia di Finanza o di un altro ente.

2. Comunicazione di avvio del procedimento (o messa in mora): nel rispetto delle norme sulla trasparenza amministrativa (Legge 241/1990), se trattasi di un’amministrazione pubblica, normalmente viene inviata al beneficiario una contestazione formale degli addebiti, con assegnazione di un termine per presentare memorie o giustificazioni (diritto di contraddittorio). Ad esempio, la Regione può comunicare: “abbiamo riscontrato che non hai presentato il rendiconto, si intende procedere alla revoca del contributo, hai 10 o 30 giorni per inviare osservazioni”. In ambito contrattuale (es. con Invitalia o Simest), spesso si invia una lettera di messa in mora o richiamo al rispetto degli obblighi, prima di risolvere il contratto.

3. Provvedimento di revoca (o risoluzione contrattuale): dopo aver valutato eventuali difese del beneficiario (o se questi non ha fornito alcuna giustificazione), l’ente adotta l’atto finale che revoca l’agevolazione. Nel provvedimento si dichiarano decaduti i benefici concessi e si quantifica l’importo da restituire. Questo importo di solito comprende:

  • La somma principale erogata (tutto il contributo o la parte indebitamente percepita).
  • Eventuali interessi maturati. Spesso viene applicato un tasso di interesse legale o un tasso previsto dal bando, calcolato dalla data di erogazione o dalla data della violazione. (Su questo punto ci sono state anche dispute legali: la Cassazione ha chiarito che gli interessi sulle somme da restituire per revoca non decorrono necessariamente dal pagamento originario, ma la revoca rende esigibile il credito e da quel momento maturano interessi. In alcuni casi si applicano interessi “di mora” dal momento della notifica della richiesta).
  • In certi casi, anche la rivalutazione monetaria (specie nei giudizi contabili) per compensare l’inflazione sul periodo trascorso.
  • Se previsto da norme, una sanzione amministrativa pecuniaria aggiuntiva (ad esempio, come per i contributi COVID, sanzione 100-200% ex D.Lgs. 471/1997).

Il provvedimento di revoca viene notificato al destinatario. Da quel momento, il beneficiario non è più legittimato a trattenere il contributo: giuridicamente, quelle somme diventano un indebito che va restituito all’erogatore (sia esso un Ministero, una Regione, un’Agenzia).

4. Restituzione volontaria: idealmente, il destinatario della revoca dovrebbe restituire spontaneamente quanto dovuto, nelle modalità indicate (bonifico a favore dell’amministrazione, oppure tramite modelli di pagamento come l’F24 con codici tributo appositi per rimborsare contributi). In qualche circostanza, le autorità incentivano la restituzione spontanea con riduzione di sanzioni: come detto, per i contributi COVID l’Agenzia Entrate ha previsto il ravvedimento operoso con sanzioni ridotte se si paga subito. In generale, però, se c’è stata una revoca per violazione grave, il margine per evitare sanzioni è ormai passato: resta solo da pagare quanto richiesto per evitare guai peggiori.

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5. Recupero forzoso (esecuzione): se il beneficiario non paga spontaneamente, l’ente creditore attiva le procedure per il recupero coattivo. Essendo un credito verso la Pubblica Amministrazione, nella maggioranza dei casi si procede mediante l’iscrizione a ruolo e l’emissione di una cartella esattoriale (affidata all’Agente della Riscossione, cioè Agenzia Entrate-Riscossione, ex Equitalia). Oppure, alcuni enti locali usano l’ingiunzione fiscale prevista dal R.D. 639/1910. In sostanza, il beneficiario moroso si vedrà recapitare una cartella di pagamento che intima il versamento entro 60 giorni; decorso tale termine, si potrà passare ad azioni esecutive come fermi amministrativi di veicoli, pignoramenti di conti correnti, stipendi o altri beni.

Nel caso di finanziamenti gestiti da soggetti con natura privata ma per conto pubblico (es. società regionali come Finpiemonte, o banche che erogano per conto dello Stato), talvolta il recupero avviene per via contrattuale o giudiziale ordinaria: l’ente potrebbe depositare un decreto ingiuntivo al tribunale civile contro il beneficiario per ottenere un titolo esecutivo. Ad ogni modo, una volta ottenuto un titolo (cartella, ingiunzione, sentenza), si procederà con gli strumenti esecutivi sopra descritti.

6. Privilegio e garanzie del credito erariale: come accennato, i crediti per contributi pubblici indebitamente percepiti godono di un privilegio generale mobiliare ex art. 9 comma 5 D.Lgs. 123/1998 (esteso poi anche ai crediti da escussione di garanzie pubbliche). Ciò significa che, se il debitore viene dichiarato fallito o insolvente, lo Stato avrà un diritto di prelazione su tutti i beni mobili (e crediti) del debitore, collocandosi prima di creditori chirografari e di molti altri privilegiati. La Cassazione in varie pronunce (es. Cass. civ. I, n. 6508/2020) ha confermato l’applicabilità di tale privilegio, evidenziando che il presupposto è la natura pubblica dei fondi erogati e la loro finalizzazione a scopi di interesse generale. Inoltre, se era stata prestata una garanzia fideiussoria all’atto della concessione (cosa che a volte viene richiesta per anticipi su contributi), l’ente può escutere la garanzia; la banca assicuratrice pagherà e poi si rivarrà sul beneficiario insolvente.

7. Tutela in giudizio del beneficiario: va ricordato che il beneficiario colpito da revoca ha comunque la possibilità di impugnare il provvedimento se lo ritiene ingiusto. Se la revoca è disposta da un ente pubblico tramite atto amministrativo, potrà presentare ricorso al TAR entro 60 giorni, contestando ad esempio che l’inadempimento non sussiste o che la sanzione è sproporzionata. Il giudice amministrativo può sospendere l’efficacia della revoca (in casi di grave e immediato danno) e poi decidere nel merito se annullarla o meno. Se invece il rapporto era contrattuale (es. con Invitalia), le controversie rientrano nella giurisdizione civile ordinaria o arbitrale (se previsto un arbitrato nel contratto). Tuttavia, spesso le clausole contrattuali con Invitalia & co. stabiliscono che per qualsiasi inadempimento l’agenzia può risolvere il contratto e ottenere le somme indietro: non c’è molto margine per contestare, se la violazione è oggettiva. Alcune difese possibili in giudizio potrebbero essere basate sul principio di proporzionalità (ad esempio, chiedere al TAR di annullare una revoca totale se l’inadempimento è lieve e permettere una revoca parziale) o su questioni procedurali (mancata comunicazione di avvio procedimento, ecc.).

In parallelo, se il debitore ha difficoltà finanziarie, può cercare un accordo di rateizzazione con l’ente o con l’Agente della riscossione. La legge consente rateizzazioni fino a 72 o 120 rate per debiti fiscali, e analogamente si applicano per debiti verso lo Stato: dunque il beneficiario potrebbe chiedere di diluire il rimborso del contributo su più anni (pagando interessi di dilazione).

In sintesi, la procedura di revoca e recupero è formalmente garantista, ma sostanzialmente rigorosa: una volta accertata l’irregolarità, l’esito (revoca e obbligo di restituzione) è quasi inevitabile, salvo che si dimostri magari un errore dell’amministrazione. Non pagare dopo la revoca espone semplicemente il debitore a misure esecutive e all’aggravio di ulteriori spese. E come vedremo nel prossimo punto, la questione potrebbe non limitarsi alla sfera amministrativa, perché durante questi controlli possono emergere profili penalmente rilevanti.

Controlli e ispezioni: accertamenti di Guardia di Finanza, Corte dei Conti, Agenzia Entrate, ecc.

La fase di accertamento delle irregolarità è spesso frutto di controlli incrociati e ispezioni svolti da vari organi. Conoscere come avvengono questi controlli è utile per comprendere perché “non farla franca” in caso di abusi è altamente probabile. Ecco una panoramica dei soggetti coinvolti e delle loro attività:

  • Ente erogatore (Ministero, Regione o altro): è il primo controllore. Oltre a valutare le richieste ex ante, effettua verifiche ex post su un campione di beneficiari, specialmente per i fondi UE dove è obbligatorio controllare una percentuale di operazioni sul posto. Quindi, non bisogna stupirsi se, anche a distanza di 1-2 anni dalla conclusione del progetto, si riceve la visita di funzionari incaricati di verificare attrezzature acquistate o documenti originali. Per esempio, nei progetti FESR, l’Autorità di Audit regionale o nazionale compie audit a campione e segnala eventuali “irregolarità” che portano a riduzione/revoca contributi.
  • Guardia di Finanza (Fiamme Gialle): è il corpo specializzato per la tutela delle finanze pubbliche. Ha competenza sia sui reati che sulle irregolarità amministrative in materia di contributi. La GdF può intervenire in vari modi:
    • Su delega dell’autorità giudiziaria: se c’è un sospetto di reato (es. frode), la Procura affida ai finanzieri le indagini (perquisizioni, raccolta documenti, audizione testimoni…). Molti casi eclatanti nascono così.
    • Su iniziativa propria o su segnalazione amministrativa: esistono nuclei speciali (ad es. il Nucleo speciale spesa pubblica e repressione frodi comunitarie) che analizzano le banche dati alla ricerca di anomalie. Nel caso PNRR di Fermo, ad esempio, una mirata analisi di rischio a livello centrale aveva selezionato la società poi risultata fraudolenta. La GdF spesso riceve dall’Agenzia Entrate i dati delle domande di contributo (c’era un protocollo per i contributi COVID) e li incrocia con altre informazioni (es. casellario giudiziale dei richiedenti, collegamenti societari, precedenti irregolarità) per mirare i controlli.
    • Ispezioni in loco e controlli contabili: la GdF ha poteri di polizia giudiziaria e anche di polizia amministrativa tributaria. Ciò significa che possono presentarsi presso l’azienda beneficiaria e svolgere verifiche approfondite: controllare fatture e scritture contabili, verificare l’esistenza di beni, interrogare i responsabili. Se trovano incongruenze, possono da un lato stilare un verbale per l’amministrazione finanziatrice (per l’eventuale revoca) e dall’altro, se emerge reato, procedere con le indagini penali.
    • Sequestri preventivi: se ci sono indizi di reato come truffa aggravata, i finanzieri su autorizzazione del giudice possono eseguire il sequestro preventivo per equivalente del profitto del reato, ad esempio congelando conti correnti o beni immobili fino a concorrenza dell’importo del contributo. Questo per evitare che l’indagato disperda il denaro illecitamente ottenuto. Nel caso della frode agricola a Salerno del 2025, sono stati sequestrati beni per 9,6 milioni di euro contestualmente agli arresti.
  • Agenzia delle Entrate: l’amministrazione fiscale entra in gioco sotto due profili. Primo, come si è visto con i contributi COVID, può essere ente erogatore ed effettuare controlli formali incrociando dichiarazioni dei redditi, liquidazioni IVA, fatture elettroniche, ecc., per verificare che i dati dichiarati nelle istanze di contributo siano corretti. Secondo, l’Agenzia può scoprire frode fiscale legata a un contributo: ad esempio, se un’azienda emetteva fatture false per gonfiare le spese finanziate, ciò comporta anche un’evasione dell’IVA e delle imposte (costi fittizi). La GdF in questi casi redige verbali sia per la parte contributo sia per la parte fiscale, e l’Agenzia Entrate notificherà avvisi di accertamento recuperando le imposte evase e irrogando sanzioni tributarie. Quindi un beneficiario disonesto può trovarsi con doppia sanzione: dover restituire il contributo e in più pagare tasse e multe per aver dichiarato il falso al fisco.
  • Corte dei Conti (controllo): la Corte dei Conti svolge due tipi di attività: controllo e giurisdizione. Sul fronte controlli, ha competenza di controllo sulla gestione dei fondi pubblici, incluso il PNRR. Spesso la Corte fa audit di tipo economico sulle amministrazioni che gestiscono contributi, segnalando inefficienze o casi anomali. Ad esempio, nell’ambito PNRR, la Corte dei Conti italiana ha istituito un apposito sistema di monitoraggio concomitante su alcuni progetti, in raccordo con il Parlamento. Tuttavia, per il nostro discorso, più rilevante è la parte giurisdizionale, che tratteremo nella sezione successiva: ossia quando la Corte interviene per sanzionare un danno erariale (dunque dopo che l’irregolarità è avvenuta).
  • OLAF e EPPO (livello UE): l’OLAF può condurre inchieste amministrative nelle frodi sui fondi europei. Può anche operare sul campo in Italia (con la partecipazione della GdF di solito) per raccogliere prove, e poi trasmette le sue conclusioni alle autorità italiane per il recupero e l’eventuale azione penale. Dal 2021, l’European Public Prosecutor’s Office (EPPO) è competente per reati contro gli interessi finanziari dell’UE sopra determinate soglie. L’EPPO ha procuratori delegati anche in Italia (a Napoli, Milano, Roma, Palermo, ecc.). Già alcuni casi di truffe su fondi UE/PNRR sono coordinati dall’EPPO, come la frode agricola di Salerno sopra citata. Quando EPPO è titolare dell’azione penale, la GdF lavora sotto la sua direzione e le decisioni cautelari (sequestri, arresti) vengono prese dai giudici italiani su richiesta dei procuratori europei.

In concreto, un beneficiario scorretto può essere soggetto nell’arco di pochi mesi a:

  • Ispezione della GdF nei locali aziendali, con acquisizione di documenti e magari sequestro di computer.
  • Convocazione in caserma per rendere dichiarazioni.
  • Ricezione di un verbale di accertamento che dettaglia le irregolarità e quantifica il danno.
  • Notifica dall’ente erogatore del procedimento di revoca basato su quanto emerso.
  • Possibile informativa di reato inviata alla Procura (se non era già partita prima).
  • Possibile sospensione di ulteriori erogazioni in corso (se il contributo doveva ancora essere erogato in parte, ovviamente viene bloccato subito).
  • Nei casi più seri, provvedimenti cautelari reali (sequestro dei beni).

Dal punto di vista del beneficiario, una volta che le Fiamme Gialle bussano alla porta per un controllo su un contributo ottenuto, è altamente probabile che l’eventuale illecito venga scoperto. È molto difficile, infatti, “nascondere” la mancata realizzazione di un investimento se c’è un sopralluogo fisico, o difendersi da una verifica incrociata sui conti bancari (la GdF può ottenere i movimenti e vedere dove sono finiti i bonifici del contributo). Va aggiunto che la GdF ha anche accesso alle informazioni di altre forze di polizia: ad esempio, incrocia dati con l’Anagrafe antimafia per vedere se i beneficiari o loro familiari hanno precedenti o collegamenti malavitosi (infiltrazioni criminali nei contributi pubblici sono possibili e per questo ci sono controlli specifici).

Un altro strumento da citare: la Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) e le certificazioni di professionisti. Spesso per sbloccare l’erogazione di tranche di contributo servono asseverazioni di ingegneri, periti o commercialisti (ad esempio un **“SAL” – stato avanzamento lavori – certificato da un tecnico). Se questi professionisti asseverano il falso, anch’essi commettono reati e possono essere perseguiti, oltre a perdere l’abilitazione. Negli ultimi anni lo Stato spinge molto su controlli a campione su queste asseverazioni, anche incrociandole con l’effettiva presenza di quanto dichiarato.

In conclusione, il sistema dei controlli è multilivello: amministrativo, contabile, fiscale e penale. Per il beneficiario che pensa di non restituire un fondo perduto sperando di farla franca, la realtà è che prima o poi uno di questi ingranaggi lo raggiungerà: o tramite un controllo amministrativo (che sfocia in revoca e recupero forzoso), o tramite un’indagine penale (che può sfociare anche in condanna e confisca dei beni).

Nei prossimi paragrafi esamineremo più da vicino le sanzioni che conseguono a tali accertamenti: dapprima le sanzioni amministrative e fiscali, quindi le responsabilità penali e contabili.

Sanzioni amministrative e conseguenze extra-penali

Oltre all’obbligo di restituire il contributo indebitamente percepito (che di per sé è già una sanzione patrimoniale rilevante), il beneficiario inadempiente può essere destinatario di ulteriori sanzioni amministrative o altre conseguenze pregiudizievoli di natura non penale. Vediamo le principali:

  • Sanzione pecuniaria amministrativa (multa): In alcuni casi specifici, la legge prevede che chi ottiene indebitamente un’erogazione pubblica paghi, oltre alla restituzione, una multa amministrativa. Il caso già citato è l’art. 316-ter c.p. per indebita percezione sotto soglia: se l’importo indebitamente ottenuto è inferiore a €4.000, il fatto non è reato ma si applica una sanzione amministrativa da €5.164 a €25.822 (fino a un massimo del triplo del beneficio conseguito). Questa è una particolarità del diritto penale-amministrativo italiano: importi modesti di indebito contributo sono depenalizzati e puniti con una multa (comminata dalla prefettura). Quindi, ad esempio, un professionista che nel 2020 ha incassato un contributo COVID di €3.000 senza averne diritto, non sarà imputabile penalmente ma l’Agenzia Entrate gli contesterà comunque la somma più una sanzione amministrativa attorno a €5.000 (minimo edittale).
  • Sanzioni tributarie: se l’indebito contributo è stato ottenuto attraverso violazioni fiscali (dichiarazioni false al fisco, uso di fatture per operazioni inesistenti, ecc.), scatteranno le relative sanzioni tributarie:
    • Per dichiarazione fraudolenta con fatture false (art. 2 D.Lgs. 74/2000) – se configurabile – c’è anche un reato fiscale, ma a livello amministrativo comporta il recupero dell’IVA detratta indebitamente e sanzione al 90% dell’imposta evasa.
    • Per indebita compensazione di crediti d’imposta non spettanti (un caso assimilabile ai contributi indebitamente fruiti), la sanzione è del 30% dell’importo compensato indebitamente, salvo che la legge speciale non preveda 100-200% come per i contributi COVID.
    • Inoltre, se un importo ricevuto come contributo era stato esente da imposte in quanto contributo, ma poi viene revocato, la sua restituzione comporta che quell’importo va tassato come reddito se il beneficiario decide di non restituirlo (ipotesi peraltro illegale). In generale, però, se lo restituisce, si effettua una rettifica a ritroso: l’eventuale imposta pagata su di esso può essere recuperata.

    Un aspetto importante: nessuna definizione agevolata è ammessa sulle sanzioni in caso di contributi non spettanti erogati dallo Stato. Ciò significa che, ad esempio, non è possibile patteggiare uno sconto sulla multa del 100-200% per i fondi COVID come si fa con le sanzioni tributarie (ravvedimento a 1/3). L’unica via era restituire prima su base volontaria per beneficiare di riduzioni.

  • Interessi moratori e aggravi di spese: la lentezza con cui a volte procedono i recuperi può far crescere il debito. Se la somma non viene immediatamente recuperata, maturano interessi moratori (al tasso legale, che attualmente è 5% annuo circa nel 2025, ma variato di anno in anno) e si aggiungono le spese di esecuzione (diritti dell’agente di riscossione, compensi legali se si va in giudizio, ecc.). Nel caso citato della Corte dei Conti Piemonte, alla somma dovuta sono stati aggiunti interessi legali e spese di giudizio di €382 a carico del convenuto. Quindi “prendere tempo” e non pagare subito può peggiorare l’esborso finale.
  • Esclusione da futuri finanziamenti: questa conseguenza non è sempre formalizzata in una norma generale, ma è spesso prevista dai bandi o comunque praticata di fatto. Se un’azienda è incorsa in una revoca per inadempimento grave, difficilmente potrà ricevere altri contributi in futuro, quantomeno per un certo periodo. Alcuni bandi chiedono espressamente al partecipante di dichiarare di non aver commesso violazioni in passate fruizioni di aiuti. Inoltre, a livello UE, esiste un sistema di esclusione dalle gare e dai finanziamenti per chi è responsabile di gravi irregolarità o frodi: il regolamento finanziario UE e il sistema EDES (Early Detection and Exclusion System) prevedono che una ditta che abbia frodato fondi UE possa essere esclusa fino a 5 anni da nuovi finanziamenti europei. Anche Banca Mondiale e altri organismi internazionali hanno meccanismi simili. In ambito PNRR, il governo italiano intende garantire che chi ha truffato fondi pubblici non acceda ulteriormente a risorse del Piano.
  • Segnalazione alla Centrale Rischi/Banche dati creditizie: se il contributo consisteva in parte in un finanziamento bancario garantito (come Resto al Sud, oppure finanziamenti agevolati con garanzia pubblica), il mancato rimborso comporta la segnalazione di insolvenza nelle banche dati creditizie. Questo peggiora la reputazione finanziaria del soggetto, rendendo difficile ottenere prestiti futuri. Ad esempio, un giovane imprenditore che non restituisce la quota di finanziamento agevolato sarà segnalato come cattivo pagatore e le banche gli negheranno ulteriore credito.
  • Danni reputazionali e contrattuali: un’impresa coinvolta in scandali di cattivo uso di fondi pubblici può subire danni alla reputazione, perdita di fiducia da parte di clienti e partner, esclusione da associazioni di categoria. Se l’impresa aveva contratti con la PA (appalti, forniture), una condanna per frode ai danni dello Stato o anche solo una revoca per grave inadempimento può portare alla risoluzione di quei contratti e all’interdizione temporanea dagli appalti pubblici. Infatti il Codice Appalti prevede che chi ha commesso atti gravi di frode nell’ambito professionale possa essere escluso dalle gare per mancanza di integrità.

In generale, quindi, al danno economico immediato (restituzione con interessi) si aggiunge un potenziale pregiudizio di medio termine: l’azienda perde opportunità di crescita futura assistita da incentivi e rischia di rimanere tagliata fuori da circuiti di finanziamento pubblico e privato.

Possiamo sintetizzare questo concetto: il sistema incentiva il ravvedimento e punisce la recidiva. Chi riconosce l’errore e restituisce subito, magari salva la possibilità di partecipare ad altri bandi in futuro (dimostrando correttezza nel rimediare). Chi invece tenta volontariamente di farla franca viene perseguito, e la prossima volta che chiederà un contributo, quell’episodio peserà contro di lui.

Profili fiscali e tributari

L’intersezione tra finanziamenti a fondo perduto e fisco è un aspetto da considerare sia in fase di concessione sia in caso di irregolarità. Esaminiamo brevemente alcuni profili fiscali rilevanti:

  • Trattamento fiscale del contributo: in generale, i contributi a fondo perduto alle imprese sono considerati ricavi o componenti positivi di reddito ai fini IRPEF/IRES, salvo specifiche esclusioni. Ad esempio, i contributi in conto capitale (per investimenti) possono essere esclusi dal reddito se contabilizzati a riduzione del costo dei beni, mentre i contributi in conto esercizio (per spese gestionali) sono tassabili. Nelle misure COVID, la legge ha previsto espressamente che i contributi a fondo perduto emergenziali non concorrevano alla formazione del reddito e non erano imponibili IVA. Dunque, paradossalmente, molti beneficiari si sono trovati con “ricavi esenti” che non hanno pagato imposte. Tuttavia, se un contributo viene revocato, in genere il beneficiario può rettificare la dichiarazione fiscale: se lo aveva tassato, potrà dedurre la restituzione come onere nell’anno in cui la paga (o chiedere rimborso per le tasse pagate in più); se non lo aveva tassato perché esente, beh, la restituzione non comporta variazioni (ha ricevuto X esente e restituito X, partita chiusa).
  • IVA e detraibilità: quando il contributo finanzia un acquisto, l’IVA relativa a quell’acquisto segue le regole normali: se l’attività è IVA detraibile, l’azienda detrae l’IVA. I contributi pubblici di solito sono fuori campo IVA (non c’è prestazione del beneficiario verso l’ente, è una liberalità condizionata). Tuttavia, se poi il contributo è revocato e l’acquisto magari non è stato effettuato regolarmente, possono emergere questioni: ad esempio, se l’impresa non ha mai comprato il bene ma ha una fattura finta per simularlo, l’IVA di quella fattura è un credito indebito verso l’Erario da restituire con interessi e multa (fattura falsa). La GdF spesso segnala contestualmente frode IVA in questi casi.
  • Deduzione dei costi: se un progetto è fittizio e un’azienda contabilizza costi falsi per mostrare di aver speso il contributo, ha creato anche un danno al fisco: quei costi abbattono l’utile imponibile indebitamente. La scoperta della frode comporterà che tali costi sono indeducibili e quindi verrà recuperata l’imposta sui redditi evasa, con interessi e sanzioni. In alcuni casi, le società hanno creato veri e propri giri di fatture inesistenti tra aziende compiacenti per drenare fondi pubblici e contemporaneamente creare finti costi: le Fiamme Gialle reprimono duramente questi sistemi, contestando sia il reato di truffa aggravata, sia quello di dichiarazione fraudolenta e talvolta autoriciclaggio (per aver reimpiegato il profitto in attività economiche).
  • Rettifiche di agevolazioni correlate: spesso un contributo a fondo perduto è una agevolazione tra più misure. Ad esempio, il PNRR può dare un contributo e insieme un credito d’imposta. Se viene revocato il contributo, molto probabilmente decade anche il diritto al credito d’imposta correlato, e se già fruito, va restituito con sanzioni. Oppure, se un contributo era finalizzato a un investimento che dà diritto anche a iperammortamento o altre agevolazioni, la perdita del contributo potrebbe dover far ricalcolare anche quelle (ma dipende dai casi).
  • Accertamenti fiscali in caso di indebiti: l’Agenzia delle Entrate, oltre a far restituire i contributi non spettanti, potrebbe approfondire la posizione del beneficiario su altri fronti. L’aver frodato un contributo può portare il fisco a sospettare che quell’azienda sia in generale poco trasparente, quindi magari verrà selezionata per un accertamento tributario sull’IVA o sul reddito di quegli anni. Insomma, un’irregolarità può “attirare l’attenzione” a 360 gradi.
  • Violazioni formali: se ad esempio un beneficiario non ha tenuto una contabilità separata dei movimenti del contributo quando era richiesto, potrebbe beccare sanzioni amministrative minori (per irregolare tenuta delle scritture). Non comuni, ma possibili.

In sintesi, dal punto di vista tributario, usare correttamente il contributo significa anche documentare correttamente le spese: se si presentano fatture taroccate, non solo si perde il contributo ma si incorre in sanzioni per fatture false; se non si emettono fatture dove dovute o le si emettono solo per giustificare il contributo (aumentando ricavi fittizi), si incappa in altre violazioni. Insomma, manipolare la contabilità per adattarla ai requisiti del bando è un gioco pericoloso che espone l’azienda a guai fiscali seri.

D’altro canto, l’ordinamento offre anche strumenti per regolarizzare: come visto, se uno per errore ha preso un contributo in più, può autodenunciarsi all’ente e restituirlo col ravvedimento, evitando l’accusa di frode. In tal caso, fiscalmente, quell’importo restituito diventa un costo deducibile (trattandosi di rimborso di un provento precedentemente tassato o tassabile). L’importante è muoversi prima che partano i controlli ufficiali.

Profili di responsabilità penale

Veniamo ora alle conseguenze penali, che sono forse le più temute. Nel nostro ordinamento, l’illecita percezione o gestione di fondi pubblici è sanzionata da diverse fattispecie di reato. Le tre norme cardine – la “triade normativa” – sono gli articoli 316-bis, 316-ter e 640-bis del Codice Penale. A queste si aggiungono altre incriminazioni che possono concorrere (ad es. reati di falso, reati fiscali, autoriciclaggio, ecc., se collegati all’operazione). Esaminiamo i principali reati connessi ai finanziamenti a fondo perduto:

1. Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter c.p.) – Questo reato punisce chi ottiene indebitamente dallo Stato, da un ente pubblico o dall’UE contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni pubbliche, mediante l’uso o la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, oppure mediante l’omissione di informazioni dovute. Si tratta, in pratica, del reato del “prendere soldi pubblici cui non si ha diritto” senza però arrivare all’artifizio del reato di truffa. È un reato a tutela del patrimonio pubblico e ha queste caratteristiche:

  • Si configura quando l’ottenimento è indebito senza artifici o raggiri di particolare inganno, ma con mezzi fraudolenti più semplici (es. autodichiarazioni false). La Cassazione lo distingue dalla truffa aggravata principalmente per l’assenza di una vera e propria messa in scena fraudolenta che induca in errore l’ente erogatore: se basta la falsa dichiarazione, si applica 316-ter, più lieve.
  • Pena base: reclusione da 6 mesi a 3 anni. Questa pena si applica quando la condotta offende gli interessi dello Stato o di un ente pubblico italiano.
  • Soglia di non punibilità penale: se l’importo indebitamente percepito è inferiore a 4.000 euro, il fatto non è reato ma viene punito solo con la sanzione amministrativa da 5.164 a 25.822 € come detto. Sopra 4.000 € scatta il reato penale.
  • Aggravante UE: in seguito al recepimento della Direttiva PIF (D.Lgs. 75/2020), se il fatto di indebita percezione lede gli interessi finanziari dell’Unione Europea per un importo sopra una certa soglia, la pena viene innalzata. In particolare, è stato previsto che se l’importo o il danno all’UE supera €100.000, la pena massima arriva a 4 anni (recependo l’obbligo di sanzionare almeno fino a 4 anni le frodi gravi UE). Quindi per fondi UE rilevanti 316-ter prevede reclusione da 6 mesi a 4 anni.
  • Esempi: se un’impresa ottiene 50k€ dichiarando falsamente di non aver ricevuto altri aiuti mentre invece ne aveva avuti, o un privato incassa illecitamente il reddito di cittadinanza (anche quello è erogazione pubblica) senza averne titolo, siamo in ambito 316-ter. In concreto, molte truffe “semplici” sui fondi COVID sono state inquadrate dai giudici come 316-ter: ad esempio, c’è chi ha aperto partite IVA fittizie solo per chiedere il contributo fondo perduto, presentando false dichiarazioni di aver avuto cali di fatturato – ciò integra il reato di indebita percezione. La Cassazione ha anche chiarito che l’art. 316-ter assorbe i reati di falso eventualmente commessi per conseguirlo (ad es. la falsa autocertificazione è assorbita e non si contesta separatamente il falso ideologico).

2. Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.) – È la forma aggravata del reato di truffa (art. 640 c.p.) specifica per i casi in cui l’inganno è finalizzato ad ottenere dallo Stato o da altro ente pubblico contributi, finanziamenti o altre erogazioni. Rispetto al 316-ter, qui siamo di fronte a condotte più ingannevoli, con un quid pluris di artifizi o raggiri messi in atto per far ottenere il beneficio. Caratteristiche:

  • Pena: reclusione da 2 a 7 anni. È significativamente più alta di 316-ter perché considera la truffa aggravata come più grave moralmente (c’è dolo di inganno).
  • Non c’è soglia di importo: anche per pochi euro, se la condotta è truffaldina (ma pochi euro di solito non giustificano l’aggravante pubblica).
  • Si procede d’ufficio (cioè non c’è bisogno di querela) quando la truffa riguarda erogazioni pubbliche, quindi l’autorità può agire immediatamente.
  • Quando si configura: se il soggetto, per ottenere il contributo, non si limita a dichiarazioni false ma mette in piedi un raggiro. Ad esempio, presenta progetti fittizi con documentazione artefatta, esibisce garanzie false, utilizza testimoni compiacenti, insomma crea un errore nella P.A. erogante tramite un’astuzia fraudolenta. Un tipico caso: creare società fasulle o intestare l’azienda a un prestanome pulito mentre il vero dominus aveva precedenti e non avrebbe potuto ottenere fondi; oppure simulare spese con un complesso giro di fatture, o gonfiare appositamente bilanci e indicatori per risultare idonei (come nella truffa scovata dalla GdF di Fermo per i fondi PNRR, dove l’imprenditore aveva redatto bilanci falsi ad hoc per far credere l’azienda solida e ottenere 300k€). In quel caso infatti gli è stato contestato il reato di truffa aggravata per erogazioni pubbliche oltre al reato societario di falso in bilancio.
  • Concorso con 316-ter?: 640-bis e 316-ter sono mutuamente esclusivi per lo stesso fatto: o è l’uno o l’altro. C’era incertezza applicativa, ma la Cassazione ha stabilito un criterio di sussidiarietà: l’art. 640-bis (truffa) prevale se vi è un artificio/raggiro, altrimenti si applica l’indebita percezione. Inoltre, se c’è danno all’UE, 640-bis può avere un’aggravante ulteriore (si applica l’aggravante generale se ricorrono condizioni).
  • Esempi: quasi tutte le grandi frodi ai fondi UE (agricoli, PNRR, ecc.) vengono perseguite come 640-bis. Nel caso dei 12 imprenditori agricoli arrestati in Campania, l’accusa principale è truffa aggravata ai danni dell’UE, per aver creato una finta Organizzazione di Produttori e falsificato documenti per riscuotere 12 milioni di aiuti. Anche associazioni a delinquere finalizzate a frodi su larga scala vengono inquadrate con 640-bis combinato con 416 c.p. (associazione per delinquere). La pena può diventare molto severa se si sommano vari reati e aggravanti (nel caso campano c’è anche l’associazione e probabilmente verrà contestato il riciclaggio o autoriciclaggio, visti i soldi movimentati).

3. Malversazione ai danni dello Stato (art. 316-bis c.p.) – Questo reato si differenzia dai precedenti perché riguarda la fase successiva all’ottenimento del denaro pubblico. Punisce infatti chi, avendo ottenuto dallo Stato o da ente pubblico o dall’UE contributi, sovvenzioni o finanziamenti destinati a una certa finalità, non li destina a tale finalità. È un reato commesso dal beneficiario di fondi (non più dall’aspirante tale) che tradisce il vincolo di destinazione. Elementi:

  • Soggetto attivo: “chiunque, estraneo alla P.A.”, che abbia ottenuto i fondi. Quindi può essere imprenditore, privato, responsabile di associazione, ecc. (Se fosse un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio che gestisce denaro pubblico, sarebbe peculato, non malversazione).
  • Condotta: l’aver destinato altrove i soldi, cioè averli distratti dallo scopo pubblico. Non serve l’intento di ingannare qualcuno (che c’era già stato nell’ottenere il fondo magari legittimamente); qui conta l’uso distorto successivo. Esempio: ricevo un contributo per fare ricerca e lo uso per comprarmi una barca – malversazione.
  • Pena: reclusione da 6 mesi a 4 anni. Quindi simile come range massimo a 316-ter aggravato, ma minimo più basso.
  • Aggravanti PIF: anche qui, se il denaro è dell’UE e sopra 100k, credo si applichi un aumento (in attuazione direttiva PIF). Inoltre la legge 234/2012 art. 9 prevede una aggravante se il fatto cagiona un danno rilevante ai finanziamenti UE.
  • Rapporti con altri reati: malversazione può coesistere con truffa se c’è sia inganno iniziale sia distrazione successiva; spesso però se c’è truffa, il fatto di non usare i soldi per lo scopo è conseguenza del fatto che lo scopo era finto, dunque si punisce tutto come truffa. La malversazione pura si ha quando magari il soggetto ottiene legittimamente il contributo (nessuna frode iniziale) ma poi cambia idea o versa in difficoltà e impiega i fondi diversamente. L’elemento psicologico richiesto è il dolo generico: volontà di destinare altrove i fondi, pur sapendo di tradire gli obblighi.
  • Esempi: un comune cittadino che percepisce il reddito di cittadinanza (che è vincolato a soddisfare bisogni essenziali e politiche attive) e lo spende al gioco d’azzardo commette malversazione ai danni dello Stato – la Cassazione ha riconosciuto applicabile 316-bis anche al RdC, in quanto erogazione vincolata a uno scopo di integrazione sociale. Un imprenditore che incassa un anticipo su contributo e invece di comprare i macchinari previsti lo usa per fini personali, risponde di malversazione. Questo reato è spesso contestato unitamente ad altri: ad esempio, può accompagnarsi a bancarotta fraudolenta se l’azienda poi fallisce (aver distratto fondi pubblici ricevuti può rientrare nel contesto del fallimento).

Oltre ai tre reati principali, altre fattispecie penali che frequentemente emergono in questi contesti:

  • Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (art. 483 c.p.): es. dichiarazioni false in modulistica presentata all’ente pubblico. Come detto, se il fine è ottenere contributo, normalmente si preferisce contestare direttamente 316-ter o 640-bis, assorbendo il falso. Ma se ad esempio c’è un falso “a valle” (tipo un falso rendiconto presentato dopo), questo potrebbe essere punito separatamente se non assorbito dalla malversazione.
  • Falsità materiale (art. 482 c.p.): se si sono contraffatti documenti (es. contratti, quietanze) potrebbe essere contestata la falsificazione materiale di documento privato o pubblico.
  • False comunicazioni sociali (artt. 2621-2622 c.c.): come successo nel caso Simest/PNRR, se per ottenere il contributo si falsificano i bilanci di una società, si commette anche il reato di falso in bilancio. Questo è un reato societario perseguibile (a querela o d’ufficio se significativo).
  • Reati tributari (D.Lgs. 74/2000): ad es. dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture false (art. 2) se si sono utilizzate fatture gonfiate per giustificare costi. Oppure emissione di fatture false (art. 8) se si emettono fatture verso compiacenti per spostare fondi.
  • Riciclaggio e Autoriciclaggio (artt. 648-bis e 648-ter.1 c.p.): se il beneficiario, dopo aver ottenuto illegalmente il contributo, tenta di “ripulire” quelle somme investendole in attività lecite scollegate e occultandone la provenienza, potrebbe risponderne. L’autoriciclaggio (648-ter.1) punisce chi impiega, trasferisce, sostituisce proventi di un proprio reato in attività economiche in modo da ostacolare la tracciabilità. Esempio: Tizio ottiene 1 milione con frode, poi li suddivide in conti offshore e li reinveste in immobili – questo configura autoriciclaggio oltre alla truffa. Spesso nelle operazioni GdF su fondi UE si contestano anche riciclaggio/autoriciclaggio quando i soldi passano per vari conti societari proprio per nasconderne l’origine.
  • Associazione per delinquere (art. 416 c.p.): nelle truffe organizzate su larga scala (come i 67 indagati nell’affaire dei fondi agricoli in Campania) non manca quasi mai l’accusa di associazione, per sanzionare il carattere stabile e organizzato del gruppo criminale e permettere misure più efficaci (intercettazioni, misure cautelari). L’associazione per delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello Stato è una aggravante specifica (416 comma 2).
  • Corruzione: se nella vicenda c’è anche un funzionario pubblico corrotto che facilita l’erogazione indebita in cambio di tangenti, entrano in gioco i reati di corruzione o concussione. Non frequenti nei contributi alle imprese (più comuni in appalti), ma possibili.

Dal punto di vista sanzionatorio, oltre alle pene detentive e multe penali (che accompagnano la reclusione), vi sono da considerare alcune conseguenze penali accessorie:

  • Confisca: in caso di condanna o patteggiamento, è obbligatoria la confisca del profitto del reato o, se non reperibile, per equivalente (art. 322-ter c.p.). Nel nostro caso il profitto è di solito l’importo del contributo incassato indebitamente. Questo significa che i beni o somme equivalenti a quell’importo vengono definitivamente confiscati dallo Stato. Se erano già stati sequestrati durante il procedimento, diventano di proprietà erariale a fine processo.
  • Interdizioni: per reati come la truffa aggravata contro lo Stato, il giudice può applicare pene accessorie come l’interdizione temporanea dai pubblici uffici. Inoltre, per chi è iscritto ad albi professionali (es. un commercialista che ordisce frodi contributive) la condanna può portare comunicazione all’ordine e provvedimenti disciplinari (sospensione, radiazione).
  • Responsabilità amministrativa degli enti (D.Lgs. 231/2001): novità importante, il catalogo dei reati-presupposto della responsabilità delle società include ora anche i reati di truffa ai danni dello Stato e quelli di frode nelle erogazioni pubbliche. In particolare, a seguito della direttiva PIF e delle modifiche normative, se i dirigenti o dipendenti di un’azienda commettono un reato di truffa aggravata (640-bis) o indebita percezione (316-ter) nell’interesse o a vantaggio dell’azienda stessa, anche la società può essere sanzionata con pesanti sanzioni pecuniarie e interdittive. Ciò è pensato per casi in cui l’azienda nel suo complesso è attiva nella frode (non solo il singolo titolare), e mira a incentivare le imprese a dotarsi di modelli organizzativi che prevenano frodi. Quindi una società che, ad esempio, presenta istanza di contributo con documenti falsi e ne beneficia, rischia non solo la revoca ma anche un procedimento 231 con multe fino a milioni di euro e sanzioni come il divieto di contrattare con la PA. Questa responsabilità dell’ente si aggiunge a quella personale dei singoli autori.

Tracciamo ora alcuni scenari di esempio per capire l’impatto penale:

  • Un piccolo imprenditore, incensurato, che per disperazione trucca i dati per avere 10k di contributo COVID: beccato, gli contestano 316-ter. Probabilmente patteggerà una pena attorno a 1 anno (sospesa) e dovrà restituire i 10k (se non già fatto) con confisca equivalente. Avrà la fedina sporca e difficoltà future con la PA.
  • Un professionista che organizza una frode da 500k € coinvolgendo 3-4 società e prestanome: si aprirà un processo per truffa aggravata e associazione, con rischio di condanna a 4-5 anni almeno, e confisca del bottino. Niente benefici se non restituisce il maltolto; può finire agli arresti domiciliari durante il procedimento (come capitato ai 12 imprenditori agricoli).
  • Una società per azioni il cui AD commette reato 640-bis per 2 milioni a vantaggio della società: oltre al processo penale all’AD, anche la società sarà imputata ex 231 e potrebbe dover pagare, ad es., €1 milione di sanzione e subire l’interdizione da contributi per 1-2 anni, a meno che non dimostri di avere adottato modelli di organizzazione idonei a prevenire quel reato (cosa difficile se l’AD stesso è coinvolto).
  • Un pubblico ufficiale (non beneficiario) che di concerto con un privato concede indebitamente contributi: il privato risponderà di truffa o indebita percezione, il pubblico ufficiale potrà rispondere di corruzione o peculato a seconda dei casi. La Corte dei Conti in parallelo agirà contro di lui.

In definitiva, l’area penale costituisce il deterrente più forte contro chi valuta di non restituire un fondo perduto ottenuto illecitamente: il rischio concreto è di incorrere in un processo penale con possibili pene detentive significative, oltre naturalmente all’inevitabile obbligo di restituzione del maltolto (grazie alla confisca). Per questo, si ribadisce che qualora un beneficiario si accorga di avere percepito somme non dovute (magari per errore proprio o dell’ente) è opportuno che restituisca spontaneamente e subito, così da limitare la vicenda alla sfera amministrativa, evitando implicazioni penali di indebita percezione. Se invece c’è stato dolo fin dall’inizio, è molto probabile che prima o poi se ne risponderà in sede penale.

Giudizio di responsabilità contabile davanti alla Corte dei Conti

Oltre alle vie amministrative e penali, nell’ordinamento italiano esiste un peculiare meccanismo per tutelare il denaro pubblico: la giurisdizione della Corte dei Conti in materia di responsabilità amministrativa e contabile (spesso chiamata anche “responsabilità erariale”). Questo ambito entra in gioco quando la condotta del beneficiario (e/o di altri soggetti) ha causato un danno erariale, cioè un pregiudizio economico alle casse pubbliche. Nel caso dei finanziamenti a fondo perduto, il danno erariale consiste essenzialmente nelle somme indebitamente erogate e non più disponibili per l’interesse pubblico, o nei costi aggiuntivi sostenuti per recuperarle.

Aspetti principali della responsabilità contabile in questi casi:

  • Rapporto di servizio e giurisdizione della Corte dei Conti: tradizionalmente, la Corte dei Conti giudica i pubblici dipendenti o amministratori per danni allo Stato commessi nell’esercizio delle loro funzioni. Tuttavia, la giurisprudenza ha esteso la giurisdizione anche a soggetti privati quando gestiscono denaro pubblico in virtù di un rapporto funzionale (cd. rapporto di servizio di fatto). È consolidato che il percettore privato di un contributo pubblico instauri un rapporto di servizio con l’ente erogatore, limitatamente all’uso di quelle risorse vincolate. In altre parole, chi riceve fondi pubblici diventa, per così dire, “custode” pro tempore di denaro pubblico finalizzato a scopi di pubblico interesse; se li utilizza male o li disperde, ne risponde davanti alla Corte dei Conti.
  • Legittimazione passiva e soggetti citabili: il beneficiario del contributo certamente è chiamabile in giudizio di responsabilità. Se il beneficiario è una persona giuridica (società, associazione), la Corte dei Conti può agire sia contro l’ente sia contro la persona fisica che l’amministra, specialmente quando l’ente è insolvente o fittizio. È pacifico infatti che, in caso di società beneficiaria, possa essere condannato l’amministratore o il socio di fatto che ha diretto l’operazione fraudolenta, perché la percezione indebita o la distrazione del contributo fa assumere a costui “una propria soggettività nella gestione di risorse pubbliche” che trascende la schermatura societaria. Ciò è molto importante: spesso le società che frodano contributi poi falliscono o spariscono, ma la Corte dei Conti può colpire il patrimonio personale di amministratori e complici, ottenendo risultati concreti nel recupero. Inoltre, possono essere citati in solido eventuali funzionari pubblici conniventi (per es., un dirigente che ha colpevolmente controllato male favorendo l’illecito). In tal caso privati e pubblici potrebbero essere condannati insieme al risarcimento.
  • Procedura: la Procura Regionale della Corte dei Conti (ogni regione ne ha una) avvia l’azione erariale di solito a seguito di segnalazione dall’ente danneggiato o d’ufficio se viene a conoscenza (spesso dalla stessa indagine penale). Il primo atto è l’invito a dedurre notificato al presunto responsabile, dove si descrive il fatto e il danno e si dà tempo (es. 30 giorni) per presentare controdeduzioni. Nell’esempio piemontese, la Procura ha inviato l’invito all’imprenditore inadempiente, ma questi non ha risposto. Si procede quindi con citazione in giudizio davanti alla sezione giurisdizionale regionale competente. Il giudizio innanzi alla Corte dei Conti è un processo civile sui generis, abbastanza rapido, che si conclude con una sentenza. Nel caso citato, la Corte dei Conti Piemonte nel 2023 ha condannato il convenuto a pagare €16.194,23 oltre interessi legali e spese – sostanzialmente lo stesso importo già intimato in via amministrativa da Finpiemonte, consolidato come danno erariale.
  • Quantificazione del danno: di regola il danno è calcolato come l’ammontare del contributo indebitamente erogato e non recuperato, comprensivo eventualmente di interessi e rivalutazione. La Corte può tenere conto se nel frattempo il responsabile ha rimborsato qualcosa: se prima della sentenza uno avesse già restituito la somma all’amministrazione, il danno residuo sarebbe nullo (e il processo potrebbe chiudersi). In assenza di restituzione, la condanna sarà a pagare l’importo pro quota tra i responsabili. A volte viene aggiunto un danno all’immagine della P.A. se il fatto ha avuto clamore (ma questo di solito per reati di corruzione; per la frode contributiva è raro si quantifichi un danno d’immagine).
  • Titolo esecutivo e mezzi di esecuzione: la sentenza della Corte dei Conti, una volta definitiva, è un titolo esecutivo come le sentenze civili. Lo Stato (o l’ente pubblico designato come destinatario della somma) potrà attivare pignoramenti e altre misure sui beni del condannato. Inoltre, la condanna per dolo comporta l’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni e l’incapacità a contrattare con la P.A. per lo stesso periodo (art. 248 D.Lgs. 174/2016). Quindi un imprenditore condannato per danno erariale doloso non potrà ad esempio partecipare a gare o ottenere altri contributi per 5 anni.
  • Rapporti con processo penale: il giudizio contabile è indipendente dal penale. Significa che una persona può essere assolta in sede penale (magari per mancanza di prova del dolo) ma comunque condannata in Corte dei Conti, dove basta la colpa grave per affermare la responsabilità amministrativa. Tuttavia, per i fatti post 2020, il legislatore – per favorire rapidità d’azione – ha limitato la responsabilità erariale dei funzionari pubblici alla sola colpa grave per fatti di evasione dell’obbligo… il legislatore ha peraltro temporaneamente limitato la responsabilità erariale dei funzionari pubblici ai soli casi di dolo per l’attuazione del PNRR (art. 21, co. 2, D.L. 76/2020 e succ. mod.), ma ciò non si applica ai soggetti privati, che rispondono pienamente anche per colpa grave. In definitiva, il giudizio dinanzi alla Corte dei Conti assicura che chi ha causato un danno alle finanze pubbliche – anche se soggetto privato – ne risponderà patrimonialmente sino al ristoro integrale di quel danno, costituendo di fatto un ulteriore strumento per recuperare coattivamente i fondi indebitamente percepiti o mal utilizzati.

Responsabilità di professionisti e terzi coinvolti

Spesso nella gestione di un finanziamento a fondo perduto intervengono professionisti o altri soggetti a supporto del beneficiario (commercialisti, consulenti, notai, tecnici asseveratori, ecc.). Questi soggetti possono incorrere a loro volta in responsabilità se contribuiscono a usi scorretti o illeciti dei fondi:

  • Responsabilità penale per concorso o reati propri: un professionista che agevola attivamente la frode diviene correo nei reati visti sopra. Esempi: il commercialista che predispone bilanci falsi o attestazioni mendaci per far ottenere al cliente un contributo (concorre in truffa aggravata e in eventuali falsi); il tecnico che firma asseverazioni false sullo stato di avanzamento lavori o sui requisiti di progetto risponde del reato di falso ideologico e concorre nell’indebita percezione (essendo la sua attestazione elemento essenziale dell’inganno). Se i professionisti organizzano un vero sistema fraudolento coinvolgendo più clienti, possono essere imputati come promotori di associazione per delinquere finalizzata a truffa ai danni dello Stato. Inoltre, vanno incontro a possibili reati specifici del loro ruolo: ad es., un notaio o pubblico ufficiale che certifica falsamente atti (costituzione di società fittizie, ecc.) commette falsità ideologica; un pubblico dipendente compiacente commetterebbe abuso d’ufficio o peggio. In caso di condanna penale, oltre alle pene principali, il professionista subirà probabilmente sanzioni disciplinari dal proprio Ordine (sospensione o radiazione) e l’interdizione dai pubblici uffici, minando la sua carriera futura.
  • Responsabilità contabile: la Corte dei Conti potrebbe citare in giudizio per danno erariale anche il professionista terzo se il suo operato, in concorso col beneficiario, ha contribuito al danno. Ciò avviene soprattutto se c’è un colluso interno alla P.A. (es. un funzionario corrotto sarà chiamato in solido con il beneficiario a rifondere il danno). Un consulente esterno privato di norma non viene citato a meno che non gestisse direttamente risorse pubbliche; tuttavia, se parte di un’associazione in partecipazione con l’impresa beneficiaria o di un patto di spartizione dei fondi pubblici, potrebbe profilarsi anche per lui un rapporto di servizio rilevante ai fini contabili.
  • Responsabilità civile verso il cliente: distinto è il caso del professionista che, senza dolo, commetta errori o negligenze nella gestione dell’agevolazione causando al cliente la perdita del contributo o l’obbligo di restituirlo. Ad esempio, se un commercialista dimentica di inviare una rendicontazione facendo revocare un contributo al suo cliente, quest’ultimo potrebbe chiedergli i danni in sede civile (per responsabilità professionale). Tuttavia, in pratica, le revoche dipendono più spesso da scelte del beneficiario che non da errori “tecnici” sanabili dal consulente, quindi questi casi non sono frequenti. Casi più comuni sono invece quelli di consulenti che illudono il cliente circa la possibilità di ottenere contributi facili e lo inducono a partecipare a bandi senza requisiti: se poi il contributo è revocato o non concesso, il cliente potrà rivalersi sul consulente per le spese inutilmente sostenute, eventualmente.
  • Responsabilità amministrativa degli enti ex D.Lgs. 231/2001: va rimarcato che, dopo le riforme ispirate dalla direttiva PIF, anche le società possono essere chiamate a rispondere per i reati commessi da amministratori/dipendenti finalizzati a conseguire indebiti vantaggi da fondi pubblici. Dunque, uno studio professionale organizzato in forma societaria o una società di consulenza potrebbe teoricamente essere sanzionata se al suo interno si è realizzata – nell’interesse della società stessa – una sistematica attività illecita di frode su fondi pubblici. Questo aspetto è particolarmente rilevante quando imprese beneficiarie e consulenti agiscono in collusione stretta.

In sostanza, i professionisti e consulenti onesti devono prestare massima attenzione e diligenza nel gestire pratiche di contributi pubblici, rifiutando qualsiasi richiesta del cliente che implichi falsificazioni o usi distorti. Devono anche vigilare e informare il cliente su come impiegare correttamente le somme. Al contrario, i professionisti disonesti che si prestano a operazioni opache diventano parte integrante dell’illecito e vanno incontro agli stessi (se non maggiori) rischi sanzionatori dei beneficiari, con l’aggravante di tradire la fiducia riposta nella loro figura.

Conclusioni

Non pagare un finanziamento a fondo perduto – nel senso di non restituire le somme percepite indebitamente o non utilizzate correttamente – non è affatto uno scenario in cui il beneficiario possa sperare di evitare conseguenze. Al contrario, come abbiamo visto, l’inadempimento degli obblighi legati a un contributo pubblico attiva una serie di meccanismi di controllo e sanzionatori estremamente efficaci: dall’immediata revoca del contributo con obbligo di restituzione (maggiorato di interessi e eventuali sanzioni), fino alla persecuzione penale delle condotte fraudolente più gravi, senza trascurare l’azione di responsabilità della Corte dei Conti per recuperare il danno erariale.

I finanziamenti a fondo perduto sono elargiti per sostenere finalità di pubblico interesse – sviluppo economico, occupazione, innovazione, coesione territoriale, ecc. – e l’ordinamento predispone tutti gli strumenti possibili affinché tali risorse non vadano disperse o abusate. Per il beneficiario, ciò si traduce in un preciso dovere di compliance: utilizzare i fondi secondo le condizioni pattuite, documentare con veridicità ogni attività, segnalare tempestivamente eventuali problemi all’ente finanziatore (spesso è preferibile chiedere una proroga o una rimodulazione del progetto, se ammesso, piuttosto che tacere e andare incontro a una revoca).

Abbiamo esaminato casi concreti che mostrano le possibili conseguenze: dalle situazioni meno gravi, in cui un’impresa ha dovuto restituire un contributo per non aver completato in tempo la rendicontazione, a situazioni gravissime con arresti e sequestri per milioni di euro in frodi organizzate ai danni dello Stato. Ignorare una richiesta di restituzione o sperare di farla franca non è una strategia percorribile: l’Agenzia delle Entrate procederà comunque al recupero forzoso (con cartelle esattoriali, pignoramenti, etc.), e parallelamente la Guardia di Finanza e la magistratura potranno aggravare la posizione del beneficiario inadempiente con sanzioni penali e contabili. Inoltre, l’impresa o individuo coinvolto vedrà compromessa la propria reputazione e affidabilità verso il sistema pubblico e finanziario, subendo esclusioni da futuri bandi e difficoltà di credito.

In conclusione, il modo corretto di “non pagare” un finanziamento a fondo perduto è non doverlo mai pagare, ovvero agire sin dall’inizio con onestà e trasparenza, così da non incorrere in revoche. Se invece il contributo è stato ottenuto senza averne diritto o non può più essere usato secondo le regole, la scelta più saggia è restituire volontariamente le somme (quando possibile) o regolarizzare la propria posizione al più presto, evitando l’escalation verso conseguenze punitive. Il sistema giuridico attuale – soprattutto con le riforme degli ultimi anni – garantisce che chi froda o sperpera denaro pubblico venga chiamato a risponderne integralmente, a tutela dell’interesse della collettività e dell’equità tra imprese (poiché appropriarsi indebitamente di un fondo perduto significa togliere opportunità ad altri meritevoli beneficiari).

In definitiva, quindi, “non pagare un finanziamento a fondo perduto” perché non se ne è avuto bisogno o perché si è scelto di impiegare altrove le risorse non è una via praticabile: il beneficiario sarà comunque tenuto a restituire quanto ricevuto e andrà incontro a una serie di gravi conseguenze legali. La via praticabile è solo la corretta attuazione del progetto finanziato oppure, in estrema ipotesi, la rinuncia tempestiva all’agevolazione (alcuni bandi consentono di rinunciare prima di incassare le somme, evitando sanzioni). Chi beneficia di fondi pubblici deve sempre tener presente la responsabilità che ciò comporta: quei fondi appartengono alla collettività e devono essere usati per il fine previsto, altrimenti la collettività (attraverso i suoi organi, dalla Guardia di Finanza alla Corte dei Conti) li reclamerà indietro, con gli interessi.

Fonti Normative, Giurisprudenziali e Dottrinali

Di seguito si elencano in forma bibliografica le principali fonti normative, pronunce giurisprudenziali e contributi dottrinali citati o richiamati nella guida:

Fonti normative:

  • Codice Penale italiano: art. 316-bis c.p. (Malversazione ai danni dello Stato, pena reclusione 6 mesi – 4 anni); art. 316-ter c.p. (Indebita percezione di erogazioni pubbliche, pena reclusione 6 mesi – 3 anni; sanzione amministrativa 5.164–25.822 € se importo < 4.000 €); art. 640-bis c.p. (Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, pena reclusione 2 – 7 anni); art. 322-ter c.p. (Confisca del profitto del reato contro la P.A.); artt. 483, 489 c.p. (Falsità ideologica e uso di atto falso, assorbite in 316-ter); art. 495 c.p. (False attestazioni, assorbite se funzionali a reato ex art. 316-ter); art. 416 c.p. (Associazione per delinquere).
  • D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 123: Art. 9 (Disciplina generale sulla revoca di incentivi alle imprese e recupero delle somme, con privilegio sul credito).
  • D.Lgs. 14 gennaio 2016, n. 174 (Codice di giustizia contabile): artt. 51-52 (invito a dedurre), art. 82 (danni da reato e rapporti con processo penale), art. 194 (interdizioni legate alla condanna erariale).
  • D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231: artt. 24 e 25 (Reati contro la P.A. tra i reati-presupposto della responsabilità degli enti, includendo truffa ai danni dello Stato e frodi comunitarie – ampliamento operato dal D.Lgs. 75/2020).
  • Direttiva (UE) 2017/1371 (“Direttiva PIF” – protezione interessi finanziari UE mediante diritto penale), recepita in Italia con D.Lgs. 14 luglio 2020, n. 75, che ha modificato gli artt. 316-bis, 316-ter c.p. (introducendo aggravanti per danni sopra 100.000 € ai fondi UE) e ha inserito i reati in materia di frodi pubbliche nel catalogo del D.Lgs. 231/2001.
  • Regolamento (UE) 2021/241 (Regolamento istitutivo del Dispositivo per la Ripresa e Resilienza – Recovery Fund), in particolare artt. 22-24 (sistema di controllo, protezione degli interessi finanziari UE, ruolo dell’OLAF e EPPO).
  • D.L. 31 maggio 2021, n. 77, conv. in L. 108/2021 (Decreto Governance PNRR): art. 7 (controlli della Corte dei Conti sul PNRR); art. 9 (ruolo Guardia di Finanza nel PNRR).
  • D.L. 16 luglio 2020, n. 76, conv. in L. 120/2020 (Decreto Semplificazioni 2020): art. 21 (limite della responsabilità erariale per colpa grave, solo dolo fino al 2021, poi prorogato per PNRR).
  • DPR 28 dicembre 2000, n. 445: artt. 75-76 (decadenza dai benefici e sanzioni penali per dichiarazioni false in atti destinati alla P.A.).
  • D.L. 19 maggio 2020, n. 34, conv. L. 77/2020 (Decreto Rilancio): art. 25 (Contributo a fondo perduto COVID per imprese e autonomi, requisiti e controlli).
  • D.L. 22 marzo 2021, n. 41, conv. L. 69/2021 (Decreto Sostegni): art. 1 (nuovo contributo a fondo perduto COVID) e art. 4 (disciplina controlli e sanzioni, con rinvio a art. 13 D.Lgs. 471/1997 per sanzione 100-200% e applicazione art. 316-ter c.p. in caso di contributo non spettante).
  • D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471: art. 13, c.5 (sanzione amministrativa 100-200% per indebita compensazione/indebita fruizione di contributi non spettanti); D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472: art. 13 (ravvedimento operoso sulle sanzioni amministrative).
  • Legge 7 agosto 1990, n. 241: artt. 7-8 (partecipazione al procedimento, obbligo di comunicare avvio revoca), art. 21-quinquies (revoca di atti amministrativi) e 21-nonies (annullamento d’ufficio atti illegittimi).
  • Regolamento (CE, Euratom) n. 2988/95 del 18/12/1995 (tutela degli interessi finanziari UE): definizione di “irregolarità” e principi sulla revoca di fondi UE e sanzioni amministrative (fino al 100% dell’importo indebitamente percepito).

Giurisprudenza:

  • Cassazione Penale, Sezioni Unite, 24 novembre 2017 n. 51816 (dep. 2018) – Criteri distintivi tra il reato di truffa aggravata ex art. 640-bis c.p. e il reato di indebita percezione ex art. 316-ter c.p.: la falsa rappresentazione documentale semplice integra l’art. 316-ter, mentre condotte con artifici e induzione in errore qualificata configurano l’art. 640-bis. (Sent. nota come Carchivi, in Ced Cass. 27149/2018).
  • Cassazione Penale, Sez. II, 18 gennaio 2022 n. 2125 – Conferma la condanna per indebita percezione (316-ter) riqualificando il fatto inizialmente contestato come truffa: nel caso di specie fondi pubblici ottenuti con dichiarazioni mendaci non accompagnate da artifizi ulteriori vanno sanzionati ex 316-ter c.p., rientrando la falsa dichiarazione nel reato complesso e assorbendo il falso ideologico.
  • Cassazione Penale, Sez. VI, 19 luglio 2022 n. 28416 – Pronuncia sul reato di malversazione a danno dello Stato (art. 316-bis c.p.): ribadisce che si configura a carico del privato beneficiario che distolga le somme dalla finalità pubblica prevista, anche quando i fondi provengono dall’Unione Europea (in tal caso rileva l’aggravante euro-unitaria se superata la soglia).
  • Cassazione Penale, Sez. II, 15 aprile 2016 n. 15449 – (Massimata) Sussiste truffa aggravata ex art. 640-bis c.p. e non mero indebito ex 316-ter c.p. quando l’erogazione pubblica viene ottenuta attraverso una rappresentazione artificiosa idonea a ingannare l’ente erogatore, oltre la semplice mendace dichiarazione. (Conforme a Cass. SU 2017 sopra cit.).
  • Cassazione Penale, Sez. VI, 6 giugno 2001 n. 29541 – (Cit. in Wiki) Precisazione sull’elemento soggettivo di art. 316-bis c.p.: il dolo generico consiste nella volontà di destinare i fondi pubblici a finalità diverse, senza necessità di ulteriori fini specifici.
  • Corte di Giustizia UE, 8 settembre 2015, causa C-105/14 (Taricco) – Rileva qui come precedente che ha portato a modifiche normative: ha stabilito l’obbligo di sanzioni effettive per frodi IVA gravi, incidendo indirettamente sull’applicazione dei termini di prescrizione per i reati contro interessi finanziari UE (direttiva PIF e d.lgs. 75/2020 conseguenti).
  • Corte dei Conti, Sez. giurisdizionale Sardegna, 10 giugno 2011 n. 358 – Pronuncia paradigmatica sul danno erariale da frode comunitaria: ritenuti responsabili una società e il suo legale rappresentante per aver ottenuto contributi europei con documenti di spesa irregolari o inesistenti; condannati entrambi a risarcire l’intero importo percepito indebitamente, riconoscendo in capo all’amministratore un rapporto di servizio funzionale per l’uso delle risorse pubbliche.
  • Corte dei Conti, Sez. giurisdizionale Piemonte, 20 gennaio 2023 n. 8 – Caso di revoca contributo regionale (Finpiemonte) per mancata rendicontazione: condanna del titolare dell’impresa individuale a risarcire €16.194,23 corrispondenti al finanziamento revocato, oltre interessi legali dal dì del dovuto, e pagamento delle spese di giudizio. La sentenza evidenzia che l’omessa destinazione del contributo (non avendo comprovato le spese) integra colpa grave ed è fonte di responsabilità amministrativa diretta a carico del privato percettore, malgrado la mancanza di un formale rapporto di servizio preesistente.
  • Consiglio di Stato, Sez. V, 13 dicembre 2017 n. 5917 – (Ricostruzione principi) In tema di revoca di contributi pubblici per inadempimento, l’atto di revoca ha natura di autotutela amministrativa e non sanzionatoria, potendo colpire anche situazioni consolidate se giustificato dall’interesse pubblico al recupero di risorse indebitamente mantenute; va garantito il contraddittorio procedimentale ex L. 241/1990 e va proporzionato il provvedimento alla gravità dell’inadempimento (possibilità di revoca parziale se prevista).

Fonti dottrinali e di prassi:

  • Corte dei Conti – Ufficio del controllo anti-frode“Rapporto di servizio ‘di secondo livello’ da erogazione di contributi pubblici e responsabilità amministrativa”, Relazione (PDF). (Documento ufficiale che delinea la giurisprudenza consolidata sulla sussistenza di un rapporto di servizio tra privato percettore di contributi e P.A., e la conseguente affermazione di responsabilità erariale a carico del primo in caso di uso illecito dei fondi).
  • Agenzia delle Entrate – Circolare 25/E del 20 agosto 2020 – (Par. 6) Chiarimenti sulla restituzione dei contributi a fondo perduto non spettanti COVID-19: istituiti codici tributo per versamento con modello F24, applicazione interesse al tasso legale (0,01% annuo al 2020) e sanzione piena senza definizione agevolata.
  • Agenzia delle Entrate – Risoluzione n. 37/E del 26 giugno 2020 – Istituzione codici tributo per il versamento spontaneo, tramite F24 con elementi identificativi, del contributo a fondo perduto di cui all’art. 25 DL 34/2020 (Covid) indebitamente percepito.
  • Corte di Cassazione, SS.UU., sent. 27 maggio 2021 n. 42415 – (massimata in Cass. Pen. SS.UU. 29 settembre 2021 n. 34433) – Pronuncia in tema di confisca diretta del profitto di reato anche su denaro su conto corrente in caso di reati contro la P.A.; ribadito che il denaro indebitamente ottenuto da contributi pubblici è profitto confiscabile in quanto ha natura fungibile (cfr. nota Colaianni F., “Quando i soldi sono infetti”, in Sistema Penale, 8 luglio 2022).

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