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Venture capital e startup: il ruolo strategico degli analisti finanziari


Le startup rappresentano uno dei principali drivers per la competitività di un Paese nonché una leva strategica di trasformazione del sistema economico grazie al significativo impatto che sono in grado di generare sia in termini di innovazione e sviluppo tecnologico sia sotto il profilo occupazionale. Nel corso degli ultimi venti anni, in particolare, l’intero eco-sistema dell’innovazione del nostro Paese, benché non ancora al livello dei principali benchmark europei ed extra-europei, si è gradualmente sviluppato, dapprima con l’introduzione della figura della cosiddetta ‘startup innovativa’, prevista del Decreto Crescita 2.0, e recentemente con le nuove modifiche normative previste dalla legge 193/2024 (Scaleup Act).

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In un contesto sempre più articolato e dinamico, caratterizzato da una pluralità di operatori di diversa natura e con differenti obiettivi, il ruolo del venture capital tende ad assumere una particolare centralità e con questo anche quello degli analisti finanziari ed investment manager. Ne parliamo con Amedeo Giurazza, imprenditore seriale operante da oltre 40 anni nel mondo della finanza e dei fondi di investimento e attualmente Amministratore Delegato di Vertis, primo fondo di Venture Capital nel Sud Italia e Fondatore di UniVertis, la prima business school per analisti finanziari.

Durante la sua lunga esperienza in questo ambito ha avuto modo di seguire l’evoluzione dell’ecosistema dell’innovazione e delle startup del nostro Paese da un osservatorio privilegiato. Come è cambiato il settore del venture capital in Italia negli ultimi anni e quali sono le prospettive per il futuro?
“Seguo il mondo del venture capital dal 2008, quando in tutta Italia eravamo solo 6 investitori. In questi ultimi 17 anni sono cambiate tante cose: le SGR e le Sicaf autorizzate da Banca d’Italia sono diventate 40, le operazioni d’investimento sono passate da qualche decina (per una dimensione di circa 30 milioni di euro annui) a oltre 400 (per oltre 1.500 milioni investiti all’anno) e si è creato un ecosistema che vede coinvolti più di 40 parchi scientifici e tecnologici, più di 300 business angels, ben 200 incubatori e acceleratori, circa 11.000 startup innovative”.

Una delle principali novità sul fronte normativo è rappresentata dalla legge 193/2024 nota come “Scaleup Act” ed entrata in vigore lo scorso 18 dicembre. Quali sono le principali novità introdotte per sostenere i processi di crescita delle startup e favorire i processi di investimento da parte dei diversi attori dell’ecosistema?
“Con lo Scaleup Act si sono modificati la definizione di startup innovativa (escludendo quelle che svolgono attività di consulenza o di agenzia) e i requisiti per l’accesso e la durata della permanenza nella sezione speciale del Registro delle Imprese (si riduce da 5 a 3 anni, prevedendo però un’estensione biennale qualora la startup innovativa rispetti determinati requisiti), introducendo vantaggi fiscali (esenzione sul capital gain) per le Casse di Previdenza e i Fondi Pensione per gli investimenti in quote di Fondi di venture capital”.

Le dinamiche in atto all’interno dell’ecosistema dell’innovazione e la velocità con la quale le tecnologie abilitanti si stanno evolvendo nel tempo rendono sempre più complessi i processi di valutazione degli investimenti in startup. Quali sono le principali difficoltà che un venture capital si trova oggi a dover affrontare?
“Una volta validate le competenze del team imprenditoriale e riscontrato l’interesse sul settore di attività della startup, la principale difficoltà sta senza dubbio nel trovare un accordo sui principali termini contrattuali, in primis la valutazione cosiddetta pre-money (cioè, quella prima dell’ingresso del Fondo). È sempre più frequente incontrare fondatori di startup che richiedono valutazioni abnormi, slegate dalla realtà e dal buonsenso, che fanno scappare gli investitori. La conseguenza è che diverse promettenti startup chiudono dopo poco tempo dall’avvio per la smania degli imprenditori di sentirsi unicorni quando devono ancora dimostrare il riscontro del mercato e realizzare il piano di crescita”.

Dopo aver gestito ben 9 fondi di private equity e venture capital e realizzato negli ultimi 10 anni oltre 50 operazioni di investimento, 3 anni fa ha deciso di fondare UniVertis, la prima “Business School per gli investitori del domani”. Come è nata l’idea di un Master sulla finanza operativa e quali sono gli obiettivi formativi che ti sei posto?
“A fine 2022 ho pensato di riempire un vuoto di mercato della formazione professionale, non esistendo ad oggi in Italia corsi di formazione specifici per analisti finanziari di venture capital e private equity. È convinzione di tutti che nel prossimo quinquennio i mercati degli asset cosiddetti alternativi si svilupperanno molto, i capitali investiti cresceranno e i deals si moltiplicheranno numericamente e dimensionalmente.
Nei prossimi 2-3 anni solo CDP Venture Capital investirà, soprattutto come fondo di fondi, svariati miliardi di euro creando, da un lato, decine e decine di nuovi operatori e, dall’altro, rafforzando quelli esistenti. Operatori che per avviare la loro nuova organizzazione dovranno necessariamente sottrarre personale qualificato ai vecchi operatori, a meno che non arrivino tanti giovani preparati a risolvere il problema. Consapevole di ciò, assieme ad alcuni amici ho fondato una società benefit, denominata UniVertis Srl, che ha lanciato il primo e unico Master in Italia per analisti finanziari di venture capital e private equity.
Con UniVertis diamo l’opportunità a giovani motivati di ricevere una formazione accelerata in 7 mesi d’aula – grazie al fatto di avere il trasferimento intensivo dell’esperienza di docenti, oltre 70, tutti operatori di mercato – e soprattutto l’accesso diretto e immediato a fondi d’investimento, banche d’affari, boutique di M&A, club deal, investitori istituzionali, acceleratori di startup ecc… Le lezioni si tengono a Napoli da aprile a dicembre e, a seguire, è previsto uno stage remunerato di 6 mesi full time”.

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Alla luce dei possibili scenari evolutivi del settore del venture capital quali ritiene debbano essere le principali attitudini e competenze-chiave che l’investment analyst del futuro dovrà assolutamente possedere? A tal riguardo, ha qualche consiglio in particolare che vorrebbe dare ai tanti giovani neolaureati che si apprestano ad entrare nel mondo del lavoro?
“Nell’ambito del venture capital, come anche del private equity, le competenze si acquisiscono sul campo. Il vero problema è come arrivarci. Ogni operatore finanziario riceve ogni settimana diversi CV che vengono puntualmente cestinati perché si tratta di neolaureati senza alcuna esperienza e competenza. Bisogna prepararsi bene, stupire il potenziale datore di lavoro per le competenze che si detengono, sin dal primo giorno. Il ‘capo’ deve rendersi conto che il/la ragazzo/a è plug & play, cioè già pronto per l’inserimento operativo in un team d’investimento di fondi chiusi o i team di boutique di M&A. Ecco perché sono richiesti giovani già formati ed è quello che facciamo con UniVertis. Infatti, abbiamo un placement del 91% a soli 3 mesi dal termine delle lezioni in aula”.
Luca Genovese

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