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Stati Uniti e Cina riducono i dazi reciproci del 110% per i prossimi 90 giorni a partire dal 14 maggio 2025. Questo l’accordo – comunicato lunedì 12 maggio in una dichiarazione comune – ottenuto a Ginevra, in Svizzera, dopo una lunga negoziazione che ha coinvolto le due superpotenze.

Dalla reintroduzione massiccia dei dazi sotto l’amministrazione Trump, gli equilibri commerciali tra Stati Uniti e Cina hanno subìto mutamenti significativi, con ripercussioni tangibili sulle economie di ambedue le potenze commerciali. I dazi imposti da Washington – in particolare quelli fino al 145% su determinati prodotti cinesi – hanno contribuito a raffreddare la crescita cinese nel settore manifatturiero e a generare un peggioramento del deficit commerciale statunitense con Pechino. Basti pensare che nel 2024, il disavanzo commerciale degli Stati Uniti con la Cina è salito a 295,4 miliardi di dollari, crescendo del 5,8% rispetto all’anno precedente. Nello stesso periodo, le esportazioni americane verso la Cina sono diminuite, mentre le importazioni cinesi verso gli Stati Uniti sono aumentate, segno che i dazi non hanno invertito la direzione del flusso commerciale come promesso. Sul fronte interno, gli Stati Uniti hanno registrato nel primo trimestre del 2025 una contrazione del PIL dello 0,3%: la peggiore performance dal 2022.

Questo rallentamento è stato aggravato da un’impennata delle importazioni, favorita da acquisti anticipati da parte delle imprese per evitare ulteriori rincari, e da tagli alla spesa pubblica. In Cina, nel frattempo, l’industria manifatturiera ha mostrato segni evidenti di contrazione, con l’indice PMI (Purchasing Managers’ Index), che è sceso a 49, ben al di sotto della soglia che indica un periodo di espansione. I dazi hanno avuto effetti concreti ma complessi: hanno indebolito la domanda cinese da parte degli Stati Uniti senza però riequilibrare il commercio, e hanno introdotto nuove fragilità tanto nell’economia americana quanto in quella cinese.

L’effetto dei dazi su USA e Cina

Nel dettaglio, i dati sul commercio tra Stati Uniti e Cina nel 2024 mostrano una fotografia chiara: il valore complessivo degli scambi di beni tra i due Paesi ha raggiunto 582,4 miliardi di dollari. Di questi, le esportazioni statunitensi verso la Cina hanno rappresentato solo 143,5 miliardi, in calo del 2,9% rispetto al 2023, mentre le importazioni cinesi sono aumentate a 438,9 miliardi, registrando una crescita del 2,8%. Questo ha ampliato ulteriormente il disavanzo commerciale americano, confermando che l’obiettivo dichiarato di riequilibrio attraverso i dazi è stato, almeno finora, disatteso.

Sul fronte cinese, l’impatto si è concentrato sul comparto produttivo. L’indice PMI del settore manifatturiero, un indicatore che misura il livello di attività economica percepita dai responsabili degli acquisti delle imprese industriali, ad aprile è sceso a 49, il valore più basso da dicembre 2023. E considerate che per questo indice un valore inferiore a 50 indica una contrazione del settore. Questo calo è stato attribuito a «bruschi cambiamenti nell’ambiente esterno e ad altri fattori», per prendere in prestito quanto detto da Zhao Qinghe, statistico senior presso l’NBS (National Bureau of Statistics). I produttori cinesi hanno risposto a questa pressione con tagli alla produzione e cancellazioni di ordini, segnalando un rallentamento nelle esportazioni che ha colpito in modo particolare le piccole e medie imprese.

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Anche l’indice dei nuovi ordini all’export è sceso a 44,7, il punto più basso dall’epoca post-pandemica di fine 2022. Questo dato indica chiaramente che la domanda estera per i beni prodotti in Cina è in calo, con gli Stati Uniti che rappresentano uno dei mercati più penalizzanti per Pechino.

Dal lato americano, sebbene l’intenzione dichiarata dell’amministrazione Trump fosse quella di proteggere l’industria interna e ridurre la dipendenza dalla Cina, i numeri più recenti raccontano una storia diversa. Il PIL (Prodotto Interno Lordo) degli Stati Uniti ha registrato nel primo trimestre del 2025 una contrazione dello 0,3%, ben al di sotto delle aspettative e in forte calo rispetto al +2,4% registrato nel trimestre precedente. Gli economisti attribuiscono questo peggioramento a tre fattori principali: un aumento improvviso delle importazioni, una riduzione della spesa pubblica e un rallentamento della spesa dei consumatori.

Le importazioni, in particolare, sono aumentate vertiginosamente passando dal -1,9% al 41,3%. Questo è avvenuto in parte perché molte aziende statunitensi hanno deciso di anticipare gli acquisti per evitare i rincari dovuti ai dazi futuri, creando un effetto di “scorte gonfiate” che ha temporaneamente alterato i flussi commerciali.

La spesa dei consumatori – che rappresenta circa il 70% del PIL statunitense – è rallentata all’1,8%, il dato più debole da metà 2023, segnalando una crescente prudenza da parte delle famiglie. Anche la spesa pubblica ha avuto un ruolo negativo, con un calo del 5,1% che ha ulteriormente frenato la crescita.

Nonostante questi segnali, alcune parti dell’economia statunitense hanno mostrato una certa resilienza. Gli investimenti privati delle imprese sono aumentati del 9,8%, in parte per attrezzarsi in vista di possibili aumenti dei costi. Un altro indicatore, le vendite finali agli acquirenti privati nazionali, ha registrato un +3%, segnalando che la domanda interna resta solida.

In Cina, il governo ha risposto con misure di sostegno mirate, come il miglioramento dell’accesso al credito per le imprese e l’introduzione di incentivi al consumo, ma ha evitato finora stimoli su larga scala. Le autorità cinesi, pur mostrando fermezza, riconoscono la necessità di ulteriori interventi per compensare le difficoltà del settore export-oriented.

USA e Cina sospenderanno parte dei dazi per 90 giorni

Nel frattempo Stati Uniti e Cina hanno annunciato una sospensione reciproca, per 90 giorni, di parte dei dazi doganali punitivi imposti sulle rispettive merci. L’intesa, raggiunta a Ginevra e formalizzata in un comunicato congiunto, prevede che entro il 14 maggio gli Stati Uniti riducano del 24% l’aliquota aggiuntiva “ad valorem” sui beni cinesi (inclusi quelli provenienti da Hong Kong e Macao), mantenendo comunque una quota del 10%.

La Cina attuerà un taglio speculare sui beni statunitensi «sospendendo 24 punti percentuali di tale aliquota [aggiuntiva “ad valorem”, NdR] per un periodo iniziale di 90 giorni e mantenendo al contempo la restante aliquota aggiuntiva ad valorem del 10% su tali articoli». Entrambe le parti rimuoveranno anche le aliquote più recenti introdotte nei primi giorni di aprile 2025. Secondo il segretario USA al Tesoro, Scott Bessent, l’accordo equivale a una riduzione complessiva del 115% sui dazi reciproci: gli Stati Uniti porteranno i dazi dal 145% al 30% e la Cina dal 125% al 10%. Inoltre, Pechino si è impegnata a sospendere eventuali contromisure non tariffarie adottate dopo il 2 aprile 2025.

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