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I nemici di Trump? Green Deal europeo e fonti rinnovabili


I dazi dell’amministrazione Trump rischiano di frenare la transizione verso le energie rinnovabili, forse addirittura di fermarla completamente. Diverse voci autorevoli sono di questo parere: un’analisi di «Ecco», il think tank italiano per il clima, suggerisce che l’obiettivo delle sanzioni americane contro l’Unione europea sia quella di «fermare una volta per tutte il Green Deal e la transizione energetica, percepiti come un pericolo da certi settori dell’economia americana».

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D’altronde, metà dell’export degli Stati Uniti verso l’Europa consiste di prodotti fossili come petrolio greggio e gas, ma anche tecnologie finali che si basano sulle fonti non rinnovabili, come i motori e gli aerei. Si pensa che bloccare il Green Deal avrebbe un impatto positivo sull’economia statunitense, anche a costo di un aumento delle emissioni. Ma quale sarà l’impatto dei dazi promulgati dalla Casa Bianca – una volta che entreranno in vigore, se mai entreranno in vigore – sulla transizione verde? Lo abbiamo chiesto a Luigi Moretti, docente di Economia della crescita sostenibile all’Università di Bergamo.

I dazi ridurranno gli sforzi delle aziende e dei governi nella transizione verde?

«Il loro impatto è da verificare, visto che alcune tariffe sono state annunciate e poi sospese, mentre non è ancora chiaro quale sarà la risposta definitiva e duratura di Ue e Cina. Possiamo prevedere che l’incertezza globale scatenata dall’annuncio dei dazi indurrà parte delle imprese a posticipare gli investimenti legati alla transizione energetica. Inoltre, le tecnologie e le componenti necessarie alla transizione energetica negli Stati Uniti dipendono dalle importazioni dalla Cina e da altri Paesi asiatici, specialmente per le auto elettriche, le batterie e i pannelli solari. La conseguenza del sistema di dazi e contro-dazi potrebbe essere un rallentamento della transizione energetica americana e del resto del mondo: sostituire beni importati con produzioni locali richiede tempo e investimenti».

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Che ne sarà della transizione verde qualora l’entrata in vigore dei dazi innescasse una crisi economica globale?

«L’evidenza empirica ci dice che l’aumento dell’incertezza è collegato alla riduzione degli investimenti, soprattutto nelle fasi di recessione. Se il contesto dovesse evolvere in una crisi o un’instabilità finanziaria su scala globale, è plausibile aspettarci un taglio degli investimenti “verdi”. I progetti legati alla transizione energetica sarebbero particolarmente colpiti, visto che hanno un’elevata intensità di capitale. Le produzioni più a rischio, invece, sono quelle che richiedono tecnologie meno consolidate e in fase di sviluppo. Durante una recessione su ampia scala, inoltre, il sostegno governativo agli investimenti nell’abbattimento delle emissioni delle aziende, gli incentivi, insomma, potrebbe vacillare».

La Cina è il principale produttore mondiale di tecnologie per la transizione energetica, ma è stata colpita con tariffe al 145%. Quali conseguenze ci saranno per questi prodotti?

«Probabilmente, i dazi rallenteranno la realizzazione di progetti legati alla transizione energetica, soprattutto negli Stati Uniti. È più difficile capire che cosa succederà a livello globale, invece. Da un lato, visto che le catene produttive e di approvvigionamento dei beni connessi alla transizione sono globalizzate, possiamo ipotizzare un rallentamento dell’adozione delle tecnologie “verdi” in tutto il mondo. Dall’altro, però, al momento è poco plausibile pensare che i flussi commerciali si riorienteranno a tal punto da azzerare la penetrazione dei prodotti cinesi nel resto del mondo. Nel breve periodo, addirittura, potrebbe verificarsi una riduzione dei prezzi delle tecnologie abilitanti della transizione, a causa dell’eccesso di offerta connesso alla riduzione degli acquisti da parte degli Stati Uniti».

Alcuni attori europei, tra cui il governo italiano, hanno proposto una sospensione delle normative internazionali, a partire dal Green Deal europeo, per affrontare i dazi. È una proposta efficace?

«Gli strumenti di regolamentazione connessi al clima sono necessari se vogliamo implementare dei cambiamenti strutturali e di lungo periodo per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. I dazi sono un problema serio e potenzialmente di grande portata, ma sono stati introdotti in maniera repentina e scomposta. La situazione attuale è così fluida, poco definita e poco chiara che non penserei a strategie di risposta che mettano in discussione un percorso strutturale e, com’è ormai chiaro a tutti, impossibile da procrastinare come la transizione energetica. Semmai penserei a portare avanti il processo di transizione e di indipendenza energetica europea, legato a doppio filo alla competitività delle nostre imprese».

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Le emissioni saliranno

I dazi promulgati dall’amministrazione Trump causeranno una riconfigurazione dei commerci globali e della logistica: le nuove rotte potrebbero portare un aumento delle emissioni. «Le aziende che saranno colpite dalle tariffe, ammesso che restino in vigore, cercheranno di incrementare la presenza in altri mercati. Ciò significa commerciare di più con Sudamerica, Africa, Asia», spiega il presidente dell’Associazione deglispedizionieri orobici, Marcello Saponaro . «Vorrà dire aprirsi alla Cina, con tutte le conseguenze che ciò comporta. Pechino è un Paese esportatore, perciò i nostri mercati potrebbero essere presi d’assalto dalle merci cinesi. Dall’altra parte, le tratte dall’Europa verso l’Asia sono molto più lunghe di quelle verso gli Stati Uniti, soprattutto nelle condizioni geopolitiche attuali». La rotta transatlantica potrebbe contrarsi, mentre quella verso l’Asia rischia di crescere troppo rapidamente. Questo riassesto porta con sé problemi politici e ambientali: «L’unico modo per ridurre la lunghezza delle rotte marittime Europa-Asia è passare per il Canale di Suez. Ma la maggior parte degli armatori non lo usa più: troppo gravi i rischi connessi agli Houthi in Yemen e alla pirateria in Africa orientale. L’alternativa è circumnavigare l’Africa, passando da circa 35 giorni di percorrenza a 55-60 e aumentando nettamente l’uso di carburante. Alcuni potrebbero tornare ai trasporti terrestri, stradali e ferroviari, con più emissioni dei marittimi».

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