C’è stato un tempo in cui le materie prime arrivavano a prezzi convenienti da ogni angolo del mondo. Poi ci sono stati il Covid, le guerre alle porte dell’Europa, i dazi di Trump. E quel tempo è finito. Oggi approvvigionarsi di materiali critici è una corsa a ostacoli sempre più costosa, incerta, rischiosa. In questo scenario l’economia circolare cambia pelle: da buona pratica ecologica diventa necessità strategica. Una chiave per difendere e rilanciare il Made in Italy, facendo leva su risorse interne, filiere locali e innovazione.
Il Rapporto 2025 sull’economia circolare, presentato oggi dal Circular Economy Network (CEN) alla Biblioteca nazionale di Roma, fotografa con chiarezza questa trasformazione. L’Italia, che da anni è leader europea per circolarità e produttività delle risorse, si trova ora davanti a un bivio: accelerare e rafforzare la propria autonomia, oppure farsi superare da chi aumenta gli investimenti e guadagna posizioni.
Il Rapporto CEN sull’economia circolare conferma il primato dell’Italia tra le maggiori economie europee. E, per la prima volta, allarga l’orizzonte della valutazione includendo tutti i 27 Stati dell’Unione: anche in questa classifica l’Italia è sul podio. Seconda dopo i Paesi Bassi, che però hanno una manifattura che pesa molto meno sul Pil, e dunque un minor consumo di materia.
Il primato dell’Italia si basa su alcuni punti forti. La produttività delle risorse ha registrato un miglioramento del 20% rispetto al 2019. Nel 2023 per ogni kg di risorse consumate è stato prodotto un valore pari a 4,3 euro: la media UE è 2,7, la Spagna sta a 4,1, la Francia a 3,5, la Germania a 3,4. Inoltre il tasso di utilizzo circolare di materia (misura la quantità di materia prima seconda che sostituisce le materie prime vergini), in Italia è pari al 20,8%: la media Ue è all’11,8%, la Francia sta al 17,6%, la Germania al 13,9%, la Spagna all’8,5%.
Però ci sono anche punti critici. Il primo dato che salta agli occhi è quello delle importazioni: nel 2023 quasi la metà (48%) del nostro fabbisogno di materiali è stato soddisfatto dall’estero. Più del doppio della media UE (22%). E non si tratta solo di quantità, ma di costi: in cinque anni la bolletta è lievitata da 424 a 568 miliardi di euro, un +34% che pesa sulle spalle delle imprese.
La scommessa dunque è rafforzare il primato e la posta in palio è alta. Si tratta di trasformare ciò che oggi è scarto in valore e di aumentare la sicurezza del sistema produttivo riducendo le incertezze e abbattendo i costi. Con benefici evidenti: secondo Cassa Depositi e Prestiti, l’adozione di pratiche circolari ha già portato a un risparmio di 16,4 miliardi di euro per le aziende manifatturiere. Ma siamo solo all’inizio: il potenziale stimato arriva a 119 miliardi entro il 2030.
In un contesto dove i materiali critici – dal litio al cobalto, dal nichel al gallio – sono sempre più contesi, è evidente l’interesse dell’industria italiana per un’altra strada: ridurre la dipendenza, investire nel riciclo avanzato, valorizzare la propria capacità manifatturiera e creativa. Un Made in Italy più autonomo, più green, più competitivo.
Non tutto, però, va nella direzione giusta. Gli investimenti nell’economia circolare in Italia sono calati del 22% rispetto al 2019, e anche l’occupazione è scesa a 508 mila addetti (-7%). Serve uno scatto: politiche pubbliche più incisive, sostegno alle imprese, formazione di nuove professionalità.
E serve, soprattutto, una strategia nazionale che risponda alla sfida lanciata dall’Europa. La Commissione UE punta a raddoppiare il tasso di circolarità dell’economia europea entro il 2030, e ha già messo in campo un Clean Industrial Deal. Il Circular Economy Act, previsto per il 2026, promette di accelerare ancora.
“Per far decollare davvero l’economia circolare dobbiamo cambiare prospettiva”, spiega Edo Ronchi, presidente del CEN e della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile. “Oggi si punta troppo sulla gestione dei rifiuti e troppo poco su azioni a monte, come progettare prodotti che durano di più, si riparano facilmente e si possono riutilizzare. In più, il mercato delle materie prime seconde è ancora debole, e mancano strumenti efficaci per monitorare i veri progressi sulla circolarità, che non si misurano solo dai rifiuti. Per superare questi ostacoli, bisogna rendere più convenienti per tutti, sia per chi produce che per chi consuma, le scelte sostenibili; usare la leva fiscale per premiare chi riduce gli sprechi e introdurre criteri circolari anche negli acquisti pubblici. L’economia circolare non è solo una buona idea per l’ambiente, ma è un’occasione concreta di innovazione e sviluppo”.
Il Rapporto 2025 non si limita dunque a denunciare, ma traccia un possibile futuro: se da qui al 2030 si riuscisse a ridurre ogni anno del 3,5% il consumo di materiali e dell’1% la produzione di rifiuti, si potrebbe ottenere un taglio della dipendenza dalle importazioni che darebbe un vantaggio in termini di bilancia commerciale pari a 16,8 miliardi di euro l’anno.
“Ad esempio una grande opportunità di innovazione e competitività è legata al settore delle biotecnologie circolari, con applicazioni nel settore industriale e per l’agrozootecnia, come facciamo in Enea con la realizzazione di servizi innovativi per la decontaminazione ambientale e il restauro, oppure con la valorizzazione di scarti organici per la produzione di nuovi biomateriali e biocarburanti o per l’estrazione di biomolecole ad elevato valore aggiunto”, aggiunge Claudia Brunori, direttrice del Dipartimento Sostenibilità dell’Enea.
L’economia circolare può diventare l’antidoto all’instabilità globale. Mentre il mondo è scosso da crisi sempre più frequenti, l’unico modo per rendere il nostro sistema produttivo più robusto, efficiente e autonomo è ridurre gli sprechi e rigenerare risorse. L’Italia ha l’esperienza, la tecnologia e il talento per farlo. Ora deve decidere se partire in volata.
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