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Il Mercato unico dei capitali, una sfida tutta politica


Servono risorse adeguate per garantire l’enorme mole di investimenti di cui l’Europa ha bisogno per assicurarsi l’indipendenza in molte aree, dalla difesa alla tecnologia. Ma come costruire un mercato unico dei capitali superando le ritrosie degli stati?

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L’Europa nel “capitalismo alla Caligola”

Tutto ciò che ha a che vedere con banche e finanza è spesso considerato una sorta di riserva di caccia per esperti di settore. E dunque volentieri si lascia a loro il compito di occuparsene, limitandosi a qualche fin troppo generico riferimento alle politiche necessarie per rilanciarne il ruolo nell’economia. Ma tutto quello che ci sta succedendo intorno impone una radicale modifica di questo approccio, perché guardare a quelle strategie perde una valenza meramente specialistica, assumendo un rilievo politico a tutto tondo con il quale governi e parlamenti devono fare i conti.

I passaggi sono fin troppo noti e descritti nei vari rapporti, da quello di Enrico Letta a quello di Mario Draghi, fino ad arrivare alla comunicazione della Commissione europea del 19 marzo. Guardando al futuro, e soprattutto nei nuovi scenari esposti alle incertezze e ai virus che stanno corrodendo i basilari valori di convivenza (qualcuno ha utilizzato l’efficace espressione di “capitalismo alla Caligola”), l’Europa deve attrezzarsi e fare da sola nelle diverse aree, dalla difesa allo sviluppo tecnologico, alle politiche energetiche. E, usando l’espressione della Commissione, non basta il “nice to-have” ma è ormai imprescindibile il “must-have”.

Non si può fare a meno del Mercato unico dei capitali

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La sfida molto ambiziosa è quella di mobilitare adeguate risorse per garantire l’enorme mole di investimenti dei quali c’è bisogno. Per gli ormai famosi 800 miliardi richiesti dal piano Draghi sarebbe pia illusione fare affidamento solo e soltanto sulla buona volontà dei governi, e per di più con una strada del debito pubblico europeo ancora in salita. Bisogna, quindi, mobilitare i tanti capitali privati, che in ragione della ben nota frammentazione di mercati e ordinamenti, prendono spesso strade diverse o rimangono nei pingui conti correnti degli europei che, raccontano le statistiche, sono ottimi risparmiatori.

In sostanza, per giocare un ruolo nelle agitate acque degli scenari internazionali e rilanciare il protagonismo dell’Europa, ci vuole un mercato unico. Detto per inciso, non si tratta certo di una grande novità: è da circa quindici anni che in sede comunitaria si succedono comunicazioni, proposte e iniziative su questo terreno, ma oggettivamente con scarsi risultati, dovuti alle ritrosie dei singoli stati membri, soprattutto quando devono fare i conti con pulsioni sovraniste sempre più diffuse.

La novità sta nel fatto che adesso, nel nuovo quadro del “capitalismo alla Caligola” tutto incentrato su rapporti di forza, di fronte a chi ragiona solo in termini di dazi e conquiste di territori (anche in senso non metaforico), continuare a intestardirsi per conservare a tutti costi le giurisdizioni nazionali, forse, non conviene nemmeno ai più ottusi sovranisti. Si potrebbe dire che gli scossoni tellurici indotti dalle disinvolte bizzarrie (per usare un eufemismo) di oltreoceano stanno diventando uno straordinario propulsore europeo, una occasione da non perdere. E non ci si deve affatto stupire, perché la storia ci insegna che solo sane e dolorose crisi svegliano i sonnolenti europei.

Sono ormai cadute nell’oblio della memoria le voci del deserto, che nei primi anni del secolo, subito dopo l’entrata in vigore dell’euro, richiamano la fin troppo ovvia esigenza che l’unione monetaria dovesse coniugarsi con assetti di vigilanza comunitaria sul mercato bancario. Voci del tutto inascoltate anche per le scontate resistenze delle autorità nazionali, restie a perdere i propri poteri. Ma a suonare la sveglia arrivarono i sinistri scricchiolii della crisi del 2008 che minacciava di travolgere anche gli intermediari del vecchio continente. Con inusuale velocità, rispetto ai tradizionali lunghi processi decisionali, si arrivò in poco tempo alla creazione del Meccanismo di vigilanza unico, sicuramente ancora da completare e con qualche ingranaggio meritevole di manutenzione, ma che rappresenta nel mondo una delle più virtuose esperienze di armonizzazione mai sperimentata in un’area regionale. 

Una “coalizione di volenterosi” anche in questo campo?

Se la Comunità sarà brava e coraggiosa anche in questa crisi, in tempi ragionevoli potrà contare per le sue strategie di sviluppo sulla fondamentale leva di un mercato unico degli investimenti. Ma come arrivarci? Attraverso quali strumenti?

Qui si apre un vasto fronte che presuppone l’analisi delle singole proposte sulle quali, al di là degli slogan da dare in pasto all’opinione pubblica, si giocherà la vera battaglia politica. In altri termini, nessuno oggi si azzarda a dire che non vuole l’unione dei capitali. Ma poi nei comportamenti pratici si va in senso assolutamente contrario. È quindi molto importante analizzare tutte le dorsali sulle quali si articola la proposta comunitaria per capire la posta in gioco, le forze in campo e le reali possibilità di giungere a risultati concreti in tempi, appunto, ragionevoli. Bisognerà quindi dedicare spazio ai singoli ambiti di intervento interrogandosi sulla loro portata e i loro effetti, e lo faremo, per ovvi limiti di spazio, in una serie di prossimi articoli; il lettore interessato può comunque già trovare utili sintesi con un organico quadro d’insieme.

Ci sono però due direttrici generali sulle quali è bene fare subito chiarezza. La prima è tanto banale, quanto spesso sottaciuta: non esistono pasti gratis, nel senso che la ricomposizione della componente finanziaria del risparmio verso una più spiccata propensione agli investimenti di capitali comporta una fin troppo ovvio incremento del grado di rischio sui mercati e quindi bisognerà trovare la quadra per un equilibrato rapporto tra tutele per i risparmiatori retail e impieghi in attività finanziarie. In realtà, è sin dal 2023 che la Commissione ha proposto la sua Retail Investment Strategy – che però su alcuni particolari aspetti controversi si è già arenata nelle maglie della negoziazione con il Parlamento e all’orizzonte non si intravedono grandi progressi, tanto che la Commissione, con linguaggio poco diplomatico e molto esplicito, si dichiara pronta a  ritirarla se le cose dovessero andare troppo per le lunghe. Ma il tema non può comunque essere escluso dall’agenda europea.

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Con altrettanta chiarezza, e questa è la seconda direttrice, la Commissione mostra la strada per realizzare le proprie indicazioni anche con accordi tra stati membri che decidono di fare da soli, lasciando, quindi, indietro chi non ci sta. È una strada che sicuramente testimonia la volontà di fare presto, ma soprattutto apre un significativo varco istituzionale, assumendo una portata che per certi versi va oltre l’ambito di applicazione della Saving and Investment Union e introducendo possibili percorsi differenziati.

Il messaggio è chiaro: se non si sbloccano i meccanismi decisionali, si possono ipotizzare circuiti più veloci e flessibili per realizzare gli obiettivi comunitari: un messaggio, appunto, tutto politico.

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Francesco Vella

Francesco Vella insegna Diritto Commerciale e Diritto Bancario all’Università di Bologna. Nella sua attività di ricerca ha prodotto quattro manuali (tutti editi dal Mulino), quattro monografie e numerose pubblicazioni in volumi collettanei e riviste in materia bancaria, finanziaria e societaria. Ha ricoperto e ricopre incarichi in organismi di controllo e di amministrazione, come amministratore indipendente, in società quotate. E’ tra i soci fondatori dell’Associazione Disiano Preite. È membro della redazione della voce.info.



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