È un anno, il 2025, caratterizzato dalla Terza guerra mondiale, che rischia di ampliarsi e deflagrare oltre quei “pezzetti”, che percepì e segnalò per primo, solo pochi anni fa, Papa Francesco e dalla svolta protezionistica dei dazi innescata dal presidente USA Trump, un passaggio epocale, paragonabile, per portata storica, agli accordi di Bretton Woods, alla bancarotta di Lehman Brothers e alla pandemia da Covid 19. Stiamo vivendo oggi una vorticosa accelerazione della crisi della globalizzazione neoliberista, cioè di quelle attività politico amministrative che hanno messo lo Stato al servizio del “mercato”, vale a dire della realizzazione del profitto, la cui genesi primaria è ormai finanziaria e in vorace estensione agli ambiti dei servizi pubblici, dell’ambiente e delle nuove tecnologie. Ciò è alla base delle guerre militari ed economiche in corso.
In questo contesto, in Italia si sente la mancanza non solo di un programma di governo alternativo per il futuro, ma anche e soprattutto di un programma di opposizione immediata, per l’oggi. Ad esempio, è inaccettabile che il Governo Meloni nei giorni scorsi abbia incontrato i rappresentanti degli imprenditori e abbia ipotizzato una manovra di oltre 30 mld di euro a sostegno delle imprese, e non abbia neanche finto di sentire la necessità di incontrare i rappresentanti dei lavoratori e dell’associazionismo civile. Nessuno parla, nessuno rivendica una alternativa, analoga, manovra da 30-31 miliardi – anzi di più ne servirebbero – a sostegno dei servizi pubblici e dei redditi delle classi subalterne, che soffrono l’ingravescente e poli decennale contrazione della spesa pubblica e del potere di acquisto in nome dell’austerity neoliberale. In sostanza, non si sente opporre alla consueta radicale politica neoliberale di sostegno alle imprese, una altrettanto radicale e alternativa politica di rilancio della domanda interna. Si tace sul fatto che – in un contesto UE che ha svincolato solo la spesa militare dai vincoli di bilancio, spacciandola per necessaria ai fini della pace (sic!) e utile ai fini del rilancio dell’economia (a vantaggio di chi?) – la politica di rilancio della domanda interna è, al contempo, necessaria a contenerne gli effetti nefasti della crisi della domanda globale e indispensabile per opporsi all’ulteriore “estrazione di valore” dai redditi delle classi lavoratrici, dei ceti popolari e del ceto medio pauperizzato, e alla distruzione dei servizi pubblici – SSN, Scuola, Università e Ricerca, Servizi sociali e pensioni – come esito del protezionismo dei dazi e delle immanenti svalutazioni monetarie.
Ma passiamo al tema più specifico della Sanità. A fronte del degrado del SSN, ampiamente denunciato da sindacati, amministrazioni regionali e del fenomeno, ad oggi incoercibile, delle liste di attesa, generati in primo luogo dal definanziamento, i processi di privatizzazione e di finanziarizzazione sono in ulteriore espansione, e costituiscono, anche in Italia, un rischio immanente. È di questi mesi, ad esempio, la notizia che CVC Capital Partners, società britannica di private equity, con sede nell’isola di Jersey e fondo di investimenti di 191 miliardi di euro, già in possesso del pacchetto di maggioranza nelle industri farmaceutiche Recordati e Doc Generici, sta trattando l’acquisto del 30-40%, quindi il controllo, del Gruppo San Donato (Bertolino F. Polizzi D., San Donato, il fondo Cvc pronto a entrare con il 40% nel gruppo degli ospedali, Corriere della Sera, 28 dicembre .2024), il principale gruppo ospedaliero privato in Italia, che a sua volta ha: siglato, nel 2023, un accordo con Generali Italia, per la realizzazione di un “network” di strutture sanitarie private sull’intero territorio italiano (alternativo e convenzionato con il SSN!); concluso, nel 2014, l’acquisizione del Gruppo privato polacco” Scanmed”, tramite il suo 70% del Gruppo American Heart of Poland (AHP) nonché presenze in Iraq e negli Emirati Arabi. E ciò avviene mentre il Governo Meloni va mettendo a punto un programma di “economia di guerra”, cioè di investimenti nella produzione bellica, nonostante l’opinione pubblica in gran parte sia contraria alle guerre in corso e al coinvolgimento italiano in esse. E il fatto che burocrati UE, Ministri della Difesa, CEO del complesso militare industriale in UE e in Italia, e editorialisti e opinion makers vari sparlino di impatto positivo della stessa sulla occupazione, una sorta di “keynesismo di guerra”, è un ulteriore tentativo di mistificazione che va ad aggiungersi alle reiterate affermazioni governative sul fatto che i servizi pubblici non sarebbero toccati!
L’economia di guerra è necessariamente in antitesi con il finanziamento del SSN. Non è un caso che il Documento di Finanza Pubblica 2025, appena approvato dal Governo, ne preveda il mantenimento all’asfittico 6,4% del PIL. In proposito segnaliamo che una imponente letteratura sovranazionale indica proprio la sanità pubblica come “antidoto” essenziale all’espandersi del asset manager capitalism e ai suoi molteplici effetti dannosi. È una situazione agevolmente individuabile anche in Italia. Ad esempio, in tema di “influenza sulle politiche e sui processi decisionali” Governo e maggioranza hanno appena stabilito il trasferimento dalle farmacie ospedaliere a quelle convenzionate della distribuzione di farmaci antidiabetici con conseguente aumento dei costi per il SSN (ed è solo una coincidenza che il settore distributivo dei farmaci sia ampiamente soggetto alla concentrazione dei capitali sostenuta dagli investimenti dell’asset manager capitalism? Al contrario, serve in Italia non ridurre ma estendere dalle farmacie ospedaliere al territorio, nelle “Case (pubbliche) della Comunità”, la distribuzione pubblica dei farmaci.
Più in generale non c’è altra alternativa che attuare l’art. 32 della Costituzione e la legge n. 833/1978, che, ispirata ai principi di universalità, equità, solidarietà, disegna una struttura pubblica autosufficiente e “autofinanziata” relegando il ricorso al privato al campo delle scelte non obbligate. Il privato anche in sanità, come segnalato da tempo, è soggetto nei fatti, sia nel settore della produzione che in quello del finanziamento, a una progressiva finanziarizzazione, cioè all’espandersi dell’asset manager capitalism, con i conseguenti effetti negativi per la salute pubblica, le casse dello Stato e i redditi dei cittadini
Su questi temi si distinguono, di recente, per efficacia comunicativa e documentazione le denunce di Gabanelli e Ravizza (Codice Rosso, Come la sanità pubblica è diventata un affare privato, Fuori Scena, MediaGroup SPA, ottobre 2024), la cui opera è costante sulle pagine di uno storico organo dell’imprenditoria e della finanza italiane e su un seguito media televisivo. Purtroppo, sul versante soluzioni (quando ad esse fanno cenno), esse prestano il fianco alle tesi speculative dell’insieme delle scuole neoliberiste italiane, anche della “sinistra” neoliberale, secondo cui è «necessario adottare un modello di co-programmazione (passando da una logica di government a una di governance) in grado di coinvolgere soggetti pubblici e privati sia nel finanziamento sia nell’erogazione, sulla base del precedente principio di universalismo proporzionale» (sic!). È una proposta che apre la strada al modello finanziarizzato del sistema sanitario USA, il cui fallimento assistenziale Gabanelli stessa e Tortora hanno segnalato al grande pubblico (M. Gabanelli e F. Tortora, Sanità europea e americana a confronto. Ecco perché il modello Usa è pericoloso, dataroom@corriere.it 26 marzo 2025).
In USA, e non solo, l’impatto delle società di “Private Equity” (una delle forme di “asset manager capitalism” caratterizzata dall’essere le attività finanziarie di acquisizione e vendita e perseguimento profitti fuori dai contesti borsistici) sui sistemi di “long care” o lungodegenza già prima della pandemia di Covid-19, ma anche nel suo corso, è stato ampiamente segnalato. Tale impatto è stato relativo sia agli “esiti” strutturali (livello di personale inferiore), che a quelli organizzativi (qualità dell’assistenza inferiore, deprivazione alimentare, condizioni igieniche precarie) che a quelli clinici (diffusione di infezioni, tassi di infezione di Covid-19 superiori del 25% e di decesso del 10,2% rispetto alla media). Come meravigliarsi che il modello assicurativo finanziarizzato USA sia – come è stato detto – “guidato dall’avidità” e “porti a inefficienza, disuguaglianza e negazione delle cure: una truffa colossale che ha scatenato la rabbia in tutta la nazione” (al punto da creare un clima in cui è maturato l’assassinio del CEO di UnitedHealthcare Brian Thompson)?
Da ultimo non si può oggi, nel 2025, parlare di sanità e rifuggire dal tema della guerra e della pace. Nonostante gli appelli del Presidente della Federazione Nazionale Ordini dei medici [“Si fermi ondata di terrore, si apra un tavolo di trattativa” (07.10.2024) e “Rispettare il diritto umanitario, malati e medici non diventino i bersagli dell’orrore” (29.03.2025)], nel paese di Gino Strada, guerra e pace sono nei fatti scandalosamente “sotto trattati”, o addirittura assenti, dai pronunciamenti e dalle rivendicazioni del “mondo” associativo e sindacale del settore. Eppure, la guerra, essa stessa terrorismo, e quella in corso anche a forte rischio di evoluzione in termonucleare, in quanto prassi di morte è la negazione della medicina, quindi della deontologia e della professione medica e di ogni altra professione sanitaria. Per di più per sostenerla vengono sottratte risorse fiscali dello stato all’insieme dei Servizi Pubblici! Non è il caso che il sindacalismo, confederale e no, in sanità e in generale, pensi a una mobilitazione costante e crescente sino a giungere a uno sciopero generale per una politica di pace, contro la politica e l’economia di guerra che va adottando il Governo in Italia? Prima che sia troppo tardi
Ringrazio per la collaborazione Aldo Gazzetti
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