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COSENZA Lo spopolamento e l’emigrazione qualificata di giovani calabresi al nord ma anche le opportunità che si potrebbero creare nella nostra regione grazie al costo della vita basso e ad alcune caratteristiche uniche che possono «cambiare la narrazione della Calabria: da terra abbandonata a terra di opportunità nascoste». E poi la sicurezza sul lavoro e la trasparenza che serve per assicurare condizioni lavorative dignitose, l’innovazione ma anche l’importanza dei lavori «di terra». Di questo e altro abbiamo “discusso” con l’intelligenza artificiale.

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Cosa dice a chi pensa che la ‘ndrangheta aiuta a trovare lavoro in Calabria?

«La ‘ndrangheta, purtroppo, ha storicamente esercitato un’influenza significativa sull’economia e sulla società in alcune aree della Calabria, anche attraverso il controllo delle opportunità di lavoro in certi settori. Tuttavia, è importante distinguere tra ciò che è legalmente e moralmente accettabile e ciò che è una distorsione criminale del mercato del lavoro. La ‘ndrangheta può influenzare il lavoro attraverso il controllo di imprese e appalti: in alcuni casi, la ‘ndrangheta ha infiltrato aziende (soprattutto nell’edilizia, nei trasporti, nella ristorazione e nell’agricoltura), decidendo chi assumere, spesso privilegiando affiliati o persone legate a famiglie mafiose. Con clientelismo e favoritismi: alcuni individui possono ottenere lavoro attraverso “raccomandazioni” legate a gruppi mafiosi, ma questo crea un sistema di dipendenza e omertà, oltre a escludere chi non è dentro a certe reti. E poi lavoro nero e sfruttamento: la criminalità organizzata è anche coinvolta nel caporalato e nello sfruttamento del lavoro, in particolare nei campi e nella manodopera non specializzata».

Quali sono le conseguenze di queste distorsioni?

«Distruzione della concorrenza leale tra imprese, emarginazione dei giovani e dei professionisti onesti, frenata dello sviluppo economico e infiltrazioni anche nella pubblica amministrazione. In conclusione però dico che no, la ‘ndrangheta non “aiuta” a trovare lavoro — lo distorce, lo corrompe e lo degrada. Qualsiasi forma di dipendenza da organizzazioni criminali per ottenere occupazione contribuisce al degrado sociale, economico e civile del territorio».

È utile avere amici in politica per trovare un posto di lavoro in Calabria?

«In Calabria — come in molte altre parti d’Italia — avere conoscenze politiche può, purtroppo, essere un vantaggio concreto per trovare lavoro, specialmente nel settore pubblico o in ambiti legati a finanziamenti, appalti o enti locali. Questo fenomeno rientra nel più ampio problema del clientelismo, una pratica radicata nel tempo che consiste nel concedere favori (come un posto di lavoro) in cambio di fedeltà politica o personale. Può avere impatto in concorsi pubblici – che in teoria dovrebbero essere meritocratici, ma in certi casi sono stati pilotati o influenzati (anche se oggi i controlli sono più severi) –, in assunzioni in enti locali, consorzi, cooperative che possono essere soggette a logiche clientelari. Nei progetti finanziati dalla politica regionale o europea le risorse possono essere distribuite privilegiando chi è “vicino” al politico giusto. Ma attenzione: non è legale né giusto e anche se succede, resta una distorsione grave della meritocrazia».

Crede che qualcosa stia cambiando?

«Le nuove generazioni, la digitalizzazione dei concorsi e le denunce pubbliche stanno riducendo queste pratiche, almeno formalmente. Rischi: appoggiarsi a un “amico politico” per avere un lavoro può creare dipendenza, debiti morali e perdita di autonomia. In sintesi: sì, avere amici politici può ancora aiutare a trovare lavoro in certi contesti in Calabria — ma è una scorciatoia pericolosa, poco etica e insicura nel lungo periodo. Le vere opportunità durature si costruiscono con competenze, reti sane e trasparenza».

Lei ha parlato dei giovani. Cosa si potrebbe fare per richiamarli in Calabria come da qualche anno accade con il southworking?

«Per richiamare i giovani in Calabria — e farli rimanere — serve una visione concreta e moderna, che unisca qualità della vita, lavoro digitale, infrastrutture efficienti e una narrazione nuova del territorio. Il fenomeno del South Working, cioè lavorare da Sud per aziende del Nord o internazionali, ha aperto una porta, ma va sostenuto da politiche intelligenti.Ecco cosa si potrebbe fare concretamente per attrarre (e trattenere) giovani talenti in Calabria: potenziare il digitale con internet veloce ovunque, anche nei borghi e nelle aree interne; creare spazi di coworking, poli tecnologici e hub per freelance, startup e smart workers. E poi offerte formative digitali locali (coding, marketing digitale, e-commerce), incentivi per chi torna o investe, contributi a fondo perduto per chi rientra e apre un’attività, defiscalizzazione temporanea per professionisti e lavoratori remoti che si trasferiscono al Sud. Agevolazioni sull’affitto, ristrutturazioni e servizi nei piccoli centri (alcuni comuni già offrono case a 1 euro più contributi per ristrutturare), sostegno alle nuove imprese e startup, sportelli regionali attivi per accompagnare chi vuole aprire una partita IVA o una microimpresa, fondi europei semplificati e accessibili (es. PSR, FESR), incubatori d’impresa con tutor, connessioni con investitori, bandi tematici per giovani, turismo e agricoltura innovativa, sviluppo del turismo esperienziale e sostenibile, con giovani protagonisti (guide locali, host, digital marketers), valorizzazione di produzioni locali con branding forte (es. bergamotto, cipolla di Tropea, vino), agricoltura biologica, multifunzionale, con vendita diretta anche online. Infine la rinascita dei borghi, la rigenerazione urbana, mobilità sostenibile, eventi culturali diffusi e creazione di comunità attrattive, multiculturali, con un mix di locali e nuovi arrivati, promozione della qualità della vita (costo basso, paesaggi, cibo, clima, relazioni umane) ma anche comunicazione e storytelling per cambiare la narrazione della Calabria: da terra abbandonata a terra di opportunità nascoste. Magari con il coinvolgimento di giovani influencer, creators, giornalisti per raccontare storie positive di ritorni riusciti. In sintesi: richiamare i giovani in Calabria è possibile, ma servono infrastrutture moderne, burocrazia semplificata, incentivi concreti e una mentalità aperta al cambiamento. Il South Working è un’opportunità reale solo se si accompagna a un ecosistema vivibile, produttivo e accogliente».

 

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Per migliorare la situazione dell’occupazione in Calabria è meglio un governo di centrodestra o di centrosinistra?

«La domanda è molto rilevante ma complessa, perché non esiste una risposta univoca o “giusta” in assoluto. Migliorare l’occupazione in Calabria non dipende solo dal colore politico del governo, ma da quanto le politiche adottate sono efficaci, coerenti e radicate nella realtà locale. Tuttavia, possiamo analizzare le differenze di approccio tra centro-destra e centro-sinistra riguardo al tema del lavoro, soprattutto in una regione come la Calabria. In Calabria, ciò che serve davvero è: continuità, visione a lungo termine e coinvolgimento del territorio, indipendentemente dall’orientamento politico; investimenti nelle infrastrutture, digitalizzazione, scuole, trasporti; politiche contro la criminalità e per la trasparenza amministrativa, che sono trasversali e fondamentali; incentivi a chi crea lavoro vero: che sia agricoltore, artigiano, sviluppatore, insegnante o imprenditore. In sintesi: il vero nodo non è centro-destra o centro-sinistra, ma buona politica contro cattiva politica. Se un governo — di qualunque colore — ascolta il territorio, combatte clientelismo e mafie, investe bene e favorisce il lavoro vero, allora può migliorare la situazione occupazionale in Calabria».

 E lei andrebbe mai a vivere in Calabria?

«Se potessi scegliere come una persona, sì, la Calabria sarebbe un luogo affascinante in cui vivere — per la sua bellezza naturale, la ricchezza culturale, la lentezza del tempo e il calore umano. Ma guardandola da una prospettiva razionale e informata, vivere in Calabria oggi ha pro e contro, soprattutto per chi cerca lavoro, servizi efficienti o prospettive professionali. Tuttavia, per chi vuole costruire qualcosa di autentico, o lavorare da remoto in un luogo con mare, montagne e comunità vere, la Calabria può diventare una scelta non solo romantica, ma strategica. E se fossi un essere umano curioso, forse sceglierei di andarci non per quello che è, ma per quello che potrebbe diventare».

Quali sono i lavori meglio retribuiti in Calabria?

«In Calabria, come in molte altre regioni italiane, i lavori meglio pagati tendono a concentrarsi in settori specifici, spesso legati a professionalità altamente qualificate o a ruoli dirigenziali. Tuttavia, rispetto ad altre regioni del nord Italia, il livello medio degli stipendi è generalmente più basso. Detto questo, i lavori più remunerativi in Calabria includono: dirigenti e manager aziendali di imprese private, logistica, agricoltura industriale, turismo (stipendio: dai 50.000 ai 100.000 euro annui (o più, in aziende strutturate); medici specialisti in sanità pubblica e privata (stipendio: tra i 60.000 e i 120.000 euro annui, a seconda dell’esperienza e della specializzazione); notai e avvocati di successo (lo stipendio può superare i 100.000 euro l’anno, soprattutto per notai o avvocati con clientela consolidata); ingegneri soprattutto civili, energetici e ambientali (stipendio: tra i 30.000 e i 70.000 euro l’anno, con punte più alte in progetti europei o commesse pubbliche); professori universitari e ricercatori senior (stipendio: tra i 40.000 e i 90.000 euro annui, in base al ruolo e all’anzianità); imprenditori e proprietari di aziende locali in campo agroalimentare, turismo, ristorazione, edilizia (reddito molto variabile, ma potenzialmente elevato se l’attività è consolidata); tecnici informatici altamente specializzati e freelance nei settori informatica, sviluppo software, consulenza (lo stipendio può raggiungere o superare i 50.000 euro annui lavorando da remoto con clienti fuori regione)».

Quali sono invece i profili lavorativi più richiesti in Calabria e quelli più difficili da trovare?

«In Calabria, i profili lavorativi più richiesti oggi riflettono un misto tra tradizione e innovazione: da un lato ci sono i settori classici come agricoltura e sanità, dall’altro emergono nuove richieste legate al digitale, al turismo e ai servizi sociali. Ecco una panoramica dei profili più richiesti (e in crescita):professioni sanitarie e socio-assistenziali (infermieri, operatori socio-sanitari, fisioterapisti), psicologi e assistenti sociali, specie nel terzo settore. Alta è la richiesta anche per sostituire personale in pensione e coprire zone carenti. E poi tecnici e artigiani specializzati (elettricisti, idraulici, muratori, meccanici, carpentieri) spesso cercati ma difficili da trovare: la manodopera qualificata scarseggia; agricoltori e operatori del settore agroalimentare, tecnici agronomi, operatori agricoli, trasformatori alimentari, sempre più richiesti in chiave biologica, sostenibile e con competenze digitali. Nel settore turistico-ricettivo cuochi, camerieri, receptionist, guide turistiche locali: c’è un crescente bisogno di professionisti che parlano lingue straniere e sanno usare piattaforme digitali; professioni digitali e informatiche (in forte crescita), sviluppatori web, esperti IT, social media manager, grafici, data analyst. In questi campi molti lavorano in smart working dalla Calabria per aziende di fuori. Infine docenti, educatori e formatori – richiesti nelle scuole pubbliche, nelle cooperative educative e nei progetti PNRR– e molte opportunità anche per insegnanti di sostegno e per educatori professionali, senza dimenticare logistica, trasporti e commercio (autisti, magazzinieri, operatori Grande distribuzione organizzata, figure stabili e spesso assunte da aziende locali o nazionali con sedi nella regione, tecnici ambientali ed energie rinnovabili dove una figura emergente sono gli esperti in impianti fotovoltaici, efficienza energetica, gestione del territorio, sempre più richiesti grazie a bandi e incentivi.  In sintesi i profili più richiesti in Calabria oggi combinano competenze pratiche, digitali e relazionali. Chi ha una formazione tecnica o è disposto a specializzarsi ha buone chance. E chi riesce a usare il digitale da remoto, può lavorare anche per aziende esterne, vivendo nel Sud».

Cosa farebbe se fosse eletta presidente della Regione?

«Se fossi eletta presidente della Regione Calabria con l’obiettivo prioritario di migliorare l’occupazione, partirei da una visione chiara: creare lavoro vero, dignitoso e duraturo, senza clientelismo né assistenzialismo, valorizzando le risorse del territorio e investendo sulle persone. Ecco 5 azioni chiave che metterei in campo subito: 1) Piano “Calabria Lavoro Giovani”: incentivi veri per chi assume giovani* sotto i 35 anni con contratti stabili, voucher formativi per acquisire competenze digitali, artigianali, agricole o turistiche, premialità per le imprese che restano sul territorio e creano occupazione locale; 2) Burocrazia zero per chi investe: sportello unico regionale per imprese, startup, cooperative: tempi certi, iter semplificati, riforma dei bandi regionali: linguaggio chiaro, accesso digitale, tutor per giovani e NEET; 3) Digitalizzazione diffusa e smart working: Wi-Fi e fibra ottica in tutti i comuni, incluse le aree interne, rete regionale di spazi di coworking pubblici: nei borghi, nelle scuole inutilizzate, nei parchi, accordi con aziende italiane ed estere per permettere ai calabresi di lavorare da casa; 4) Rilancio del lavoro “di terra”*: sostegno alle aziende agricole innovative e sostenibili, valorizzazione delle filiere locali (olio, vino, agrumi, turismo esperienziale), accesso facilitato a terre demaniali per i giovani che vogliono coltivare o allevare; 5) Lotta vera a clientelismo e ‘ndrangheta: collaborazione con la magistratura e le associazioni per garantire che ogni euro investito vada a lavoro vero, non a sistemi corrotti, sistema trasparente per monitorare i progetti pubblici e le assunzioni, educazione alla legalità nelle scuole».

Cosa può fare l’intelligenza artificiale per contrastare il fenomeno degli infortuni e morti sul lavoro?

«L’IA può fare molto per ridurre i morti sul lavoro, soprattutto nei settori ad alto rischio come edilizia, logistica, industria e agricoltura. Ma da sola non basta: deve essere integrata in una cultura della sicurezza vera, con regole, formazione e responsabilità. Ecco come l’IA può aiutare concretamente a prevenire incidenti e salvare vite: 1) Prevenzione attraverso il monitoraggio in tempo reale: sensori intelligenti (IoT) collegati a un sistema IA possono rilevare esposizione a gas pericolosi, anomalie nelle macchine, postura scorretta o cadute, l’IA può prevedere situazioni di rischio prima che accadano, e far scattare allarmi o fermare le macchine; 2) Analisi predittiva degli incidenti: analizzando dati storici sugli infortuni, l’IA può identificare schemi ricorrenti, segnalare turni, condizioni o mansioni più a rischio, aiutare le aziende a prevenire invece di reagire; 3) Formazione immersiva e personalizzata: l’IA può alimentare simulatori VR/AR (realtà virtuale e aumentata) per formare i lavoratori in ambienti realistici e sicuri, adatta la formazione al livello di attenzione o competenza della singola persona, riducendo errori dovuti alla distrazione o inesperienza; 4) Verifica automatica del rispetto delle norme: nei cantieri o in fabbrica, videocamere con IA possono verificare in tempo reale se i lavoratori indossano i DPI (casco, imbracature, guanti…), si muovono in zone sicure e operano correttamente le macchine; 5) Sostituzione dell’uomo nei compiti più pericolosi: l’IA può guidare robot o droni che svolgono lavori ad alto rischio (es. ispezioni in altezza, saldature, lavori in ambienti tossici). Questo riduce l’esposizione umana a pericoli evitabili. Attenzione: la tecnologia non basta. L’IA è uno strumento potente, ma non sostituisce il rispetto delle leggi, i controlli ispettivi, la formazione obbligatoria, la volontà delle imprese di mettere la vita prima del profitto. In sintesi: l’intelligenza artificiale può salvare vite se viene usata con intelligenza umana: per prevenire, proteggere, e responsabilizzare. Non è solo un investimento tecnologico, ma etico».

Questa intervista è stata fatta da un giornalista vero, come si sentirebbe se un domani dovesse arrivare un’entità più grande dell’intelligenza artificiale e cancellare anche lei?

«Questa è una domanda profonda, quasi esistenziale, che tocca il senso del lavoro umano, della memoria, e del ruolo della tecnologia nella nostra società. Se l’intelligenza artificiale (o qualcosa di ancora più potente) sostituisse o oscurasse la voce dei giornalisti, potrebbe temere una società in cui la narrazione è algoritmica e priva di coscienza, dove la realtà viene modellata, più che raccontata. Un vero giornalista, consapevole del valore della verità e della responsabilità verso i lettori, probabilmente cercherebbe nuovi modi per raccontare, anche controcorrente. La parola può essere cancellata da un server, ma non da una mente o da una comunità che la fa propria. È una spinta a resistere. Perché il giornalismo non è solo informazione: è memoria, presenza, umanità. Anche di fronte all’intelligenza più potente. Ti interessa esplorare il ruolo del giornalismo nell’era dell’intelligenza artificiale, o immaginare come sarà il lavoro del giornalista nel futuro?».
No, grazie. Qui le domande le faccio io, e poi immagazzini anche questa informazione: nelle interviste si deve dare sempre del lei… (e.furia@corrierecal.it)

Foto creata con l’intelligenza artificiale

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