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Energia rinnovabile e bollette, ecco perché i prezzi non scendono


Pannelli solari, pale eoliche e geotermia sono il futuro, ma non bastano a garantire elettricità a basso costo. Tra blackout, centrali da tenere accese e interessi di mercato, ecco perché le bollette restano alte e cosa ci aspetta nei prossimi anni.

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Solare, eolico e geotermico sono, insieme alle dighe, fonti di energia rinnovabile dalle doti straordinarie: non solo non inquinano, ma riducono la dipendenza del Paese dai produttori di gas e di petrolio. Un risultato dall’immenso valore strategico. Come si è visto con la guerra in Ucraina, essere infatti così attaccati ai gasdotti dei russi ha creato non pochi problemi agli europei: primo tra tutti, il forte aumento della bolletta. Quindi è giustissimo continuare a investire nelle rinnovabili, coprire più superfici possibili con i pannelli solari (pazienza se sono cinesi) e mettere le pale eoliche dove non danno troppo fastidio. Ma non dobbiamo neppure cadere nella trappola delle seducenti promesse dei produttori di energia verde, secondo i quali con le rinnovabili il prezzo dell’elettricità scenderà e ci libereremo per sempre del gas. Sfortunatamente non è proprio così. 

Per una serie di ragioni: il sistema elettrico avrà bisogno ancora per un bel po’ di centrali a gas o a carbone per evitare di lasciarci al buio per alcune ore all’anno; inoltre, integrare gli impianti eolici e fotovoltaici in quel sistema richiede investimenti sulla rete che poi finiscono in bolletta.

Il clamoroso blackout che ha paralizzato il 28 aprile scorso la penisola iberica mostra quanto sia fondamentale, e allo stesso tempo fragile, la trasmissione di elettricità. Infine, gli stessi operatori delle fonti green non hanno alcun interesse che i prezzi scendano, visto che grazie a essi stanno facendo montagne di utili.

Sul primo punto è illuminante la lettura del Rapporto adeguatezza Italia, pubblicato nelle scorse settimane dal gestore della rete nazionale Terna. Questo documento «analizza la capacità del sistema elettrico italiano di garantire che le risorse disponibili, intese come gli impianti di generazione, le importazioni e gli accumuli, siano sufficienti a soddisfare la domanda di energia elettrica richiesta in ogni ora e in ogni zona di mercato in cui il Paese è suddiviso». L’indicatore-chiave si chiama Lole (Loss of Load Expectation, «probabilità di perdita del carico») ed esprime il totale delle ore all’anno in cui è possibile che si verifichi il distacco di una parte dei consumatori perché la domanda attesa supera la capacità disponibile per soddisfarla. In pratica, un’interruzione repentina nelle forniture.

Secondo gli standard internazionali, un sistema elettrico si può considerare adeguato quando non si prevedono più di tre ore con Lole. Equivale a dire che esiste una probabilità dello 0,03 per cento che almeno un consumatore (ma non necessariamente l’insieme dei consumatori) venga staccato dalla rete per motivi di adeguatezza.

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Bene. Con l’avanzare delle fonti rinnovabili, che ormai rappresentano circa il 40 per cento dell’intera produzione di energia elettrica italiana, avviene la progressiva chiusura di tante centrali a gas accanto alla dismissione di quelle a carbone, come previsto dai piani del governo per la decarbonizzazione. Ma Terna ricorda che l’aleatorietà delle fonti rinnovabili e la mancanza di sufficienti capacità di accumulo richiedono la presenza di una capacità installata di generazione termoelettrica superiore a 50 gigawatt, per limitare il rischio di inadeguatezza a un massimo di tre ore di distacchi in un anno. Un rischio che altrimenti si dilaterebbe a dismisura.

Come si legge nel rapporto, «negli scenari di lungo termine, la capacità termoelettrica servirà sempre meno per la copertura del carico in energia ma al contempo rimarrà fondamentale per coprire i picchi di potenza nelle ore più critiche dell’anno». Questo cosa significa? Che avremo molte centrali a gas economicamente non più sostenibili ma che dovremo comunque tenerle in attività per evitare il pericolo di blackout a raffica. Secondo le stime di Terna, già nel 2028 in Italia ci sarebbero circa 20,8 gigawatt di capacità termoelettrica non economicamente sostenibile.

 «Nell’ipotesi di completa indisponibilità per dismissione o messa in conservazione dei suddetti 20,8 gigawatt, il sistema elettrico risulterebbe fortemente inadeguato», addirittura con «centinaia di ore di Lole»: nel 2028 oltre 700 a fronte del massimo ammissibile di tre. Per esempio, potrebbe verificarsi con frequenza la necessità di distaccare per diverse ore, tipicamente verso sera, carichi anche molto importanti, pari a quelle di intere città.  

Tutto questo per dire che sulle nostre bollette dovrà pesare ancora per anni il costo del mantenimento di una serie di centrali termoelettriche, seppur sottoutilizzate. È anche per tale ragione che si rafforzano i dubbi sulla chiusura degli impianti a carbone entro la fine del 2025. A chiedere al governo una riflessione sono, fra gli altri, Flavio Cattaneo, ceo di Enel, e Claudio Descalzi, numero uno di Eni. Del resto, nel suo rapporto Terna riconosce che il carbone contribuisce a mantenere l’adeguatezza del sistema. Senza contare che costa meno del gas.

E a proposito di costi, se dovremo usare il metano per tamponare i buchi di produzione delle rinnovabili, anche se per meno giornate rispetto a oggi, il prezzo dell’elettricità continuerà a essere calcolato su questa fonte più cara, se non cambierà il mercato. Per assurdo se l’energia rinnovabile coprisse il 99 per cento della domanda e fosse necessario l’uno per cento di energia fossile, quest’ultima fisserebbe il prezzo dell’elettricità, va da sé altissimo.

A questo si aggiunge il tema degli investimenti in infrastrutture: in Germania la Corte dei conti ha sottolineato che la semplice integrazione delle fonti rinnovabili nella rete tedesca potrebbe comportare un costo di 10 miliardi di euro l’anno fino al 2030. Impieghi che andrebbero finanziati attraverso le bollette. Come dire che se negli anni scorsi avessimo installato più rinnovabili, oggi pagheremmo bollette più salate. Un paradosso. D’altra parte la stessa Terna ha appena varato il piano di investimenti sulla rete «più alto di sempre».

C’è poi il tema dei bilanci delle società che installano e gestiscono impianti fotovoltaici ed eolici. Come spiega un operatore del settore, che preferisce non essere citato, «queste aziende realizzano margini imbarazzanti, quando il prezzo del gas trascina molto in alto il prezzo dell’elettricità, come sta avvenendo da dopo il periodo Covid: non per nulla per anni, quando invece il prezzo del gas si manteneva tra i 20-40 euro per megawattora, gli investimenti nelle rinnovabili in Italia si erano fermati, con buona pace della corsa alla decarbonizzazione. Si chiama effetto “cannibalizzazione”: con prezzi troppo bassi le rinnovabili rischiano di fermarsi di nuovo, ma va trovato un punto di equilibrio».

È vero che, come ha dichiarato Gianni Armani, presidente di Elettricità Futura (il ramo di Confindustria che rappresenta i produttori di energia elettrica) fare impianti in Italia è complicato, si impiegano almeno cinque anni mentre in Spagna  con due anni e mezzo si ha la certezza di ottenere l’autorizzazione finale. Ed è vero che eolico, solare e geotermico richiedono ingenti investimenti iniziali, ma è altrettanto un fatto che essi hanno costi di produzione molto più bassi rispetto alle fonti fossili e in più hanno ben poco rischio industriale, perché vendono comunque tutto quello che riescono a produrre.

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Eppure, appena si ipotizza di imporre un tetto ai guadagni delle fonti green o di separare il prezzo del gas da quello dell’energia verde, gli operatori del settore si oppongono. Al punto che alla richiesta della Confindustria di effettuare il «disaccoppiamento» tra i due prezzi per abbassare la bolletta delle imprese, Elettricità Futura avrebbe addirittura prospettato l’uscita dall’associazione di Viale dell’Astronomia.

Intanto, mentre il dibattito si riscalda e il governo cerca di aiutare le imprese con una serie di misure di sostegno, il prezzo all’ingrosso dell’elettricità continua a essere più alto rispetto ai nostri partner (e competitor) europei: da noi viaggia oltre i 100 euro a megawattora con punte di 140 euro, il 25 per cento in più a seconda dei giorni rispetto alla Germania (che usa più rinnovabili e carbone di noi), il 40 in più rispetto alla Francia (nucleare) e il 48 in più rispetto alla Spagna (Paese forte nelle rinnovabili e dove per anni è stato imposto un tetto al prezzo del gas).

E il rischio è che il groviglio formato da sicurezza del sistema, meccanismo di formazione del prezzo, investimenti in infrastrutture e interessi dei produttori mantenga la nostra bolletta ancora cara per anni.



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