Il 63% delle grandi aziende italiane ha già adottato o intende adottare soluzioni di intelligenza artificiale. È quanto emerge dal rapporto “Lo stato dell’arte dell’Intelligenza Artificiale nelle aziende italiane – Adozione, impatti e prospettive”, realizzato da Minsait (società del gruppo Indra) in collaborazione con The European House – Ambrosetti, e presentato in occasione del Technology Forum 2025 di Stresa.
L’impatto stimato in termini di produttività è dirompente: fino a 115 miliardi di euro, equivalenti a una crescita aggregata del 3,2% già oggi, con proiezioni fino al 4,3% entro due anni. Tuttavia, l’adozione rimane per lo più focalizzata su interventi incrementali e sperimentali, piuttosto che su trasformazioni radicali del business.
“Il nostro studio mostra un’importante crescita dell’adozione dell’IA da parte delle aziende italiane […] ma dobbiamo passare dal ‘fare cose più velocemente’ al ‘fare cose radicalmente nuove’”, ha affermato Erminio Polito, AD di Minsait in Italia.
L’adozione: tra ottimizzazione e barriere da superare
L’analisi condotta su circa 280 aziende italiane con oltre 250 dipendenti, appartenenti a più di 15 settori, mostra che il 38,2% delle imprese ha già avviato progetti di implementazione o sperimentazione dell’AI, mentre un altro 25,2% pianifica di farlo nel breve periodo. Solo il 21% è arrivato alla fase di adozione su scala aziendale.
Tuttavia, un consistente 35,4% dichiara di non voler adottare l’AI. Le principali barriere? Difficoltà organizzative (23,9%), il carattere ancora sperimentale delle tecnologie (21,9%) e la mancanza di competenze interne (20%).
I casi d’uso più diffusi: focus sull’ottimizzazione
Tra le imprese già attive, l’AI viene impiegata principalmente per il supporto all’IT e ai processi aziendali:
- Gestione e analisi dei dati (35,4%)
- Chatbot per il supporto IT (23,2%)
- Analisi predittive e automazione del back-office (22,2%)
L’approccio è quindi fortemente orientato all’ottimizzazione operativa, piuttosto che alla trasformazione strategica dei modelli di business.
Fonte: elaborazione TEHA Group su modelli proprietari, 2025
I dati ci sono, mancano strategie e investimenti
Quasi la metà delle aziende (43,3%) ritiene di disporre di dati qualitativamente e quantitativamente sufficienti per avviare progetti AI. Tuttavia, mancano strategie definite: il 70% delle imprese non ha ancora un piano strutturato, e quando presente, è gestito principalmente dal reparto IT, con scarso coinvolgimento del top management.
Anche sul fronte finanziario la situazione è limitata: quasi il 50% delle aziende investe meno del 5% del budget digitale nell’AI, e nel 38% dei casi la spesa annuale è inferiore ai 50.000 euro.
professionale, valore aggiunto).
Fonte: elaborazione TEHA Group su modelli proprietari, 2025
Efficienza migliorata, ma la trasformazione è lontana
Secondo il rapporto, il 64,7% delle aziende ha registrato un miglioramento dell’efficienza operativa grazie all’AI. Tuttavia, solo il 15,2% ha implementato l’automazione di attività ripetitive e appena il 9,1% ha creato nuovi flussi di lavoro.
Le competenze rimangono un punto critico. La priorità è ancora data alle hard skills (58,1%), mentre le soft skills sono ritenute importanti solo dal 10% delle imprese. Tra queste, spiccano il problem solving (58,7%) e la comunicazione (33,9%).
“Meno di una persona su due possiede competenze digitali di base. Per colmare il gap e raggiungere l’80% di alfabetizzazione digitale entro il 2030, servono 15 milioni di cittadini formati”, evidenzia lo studio.
Il potenziale dell’AI: +115 miliardi di euro di produttività
Nonostante la fase iniziale di sperimentazione, un terzo delle aziende ha già riscontrato un aumento della produttività tra l’1% e il 5%. Un dato notevole, se confrontato con la media nazionale di crescita della produttività nell’ultimo ventennio, ferma all’1%.
Il tempo risparmiato grazie all’AI viene spesso reinvestito in formazione, qualità e R&S, segnando un passo importante verso benefici più strutturali nel medio periodo.
Normativa europea: fiducia nell’AI Act, ma poca preparazione
Sul fronte normativo, l’AI Act dell’UE è visto positivamente da oltre due aziende su tre, che lo considerano un’opportunità per migliorare governance e trasparenza. Tuttavia, il 56% delle imprese non ha ancora intrapreso azioni concrete per l’adeguamento.
I principali ostacoli sono:
- Formazione insufficiente (40%)
- Mancanza di linee guida chiare (18,2%)
- Inadeguatezza delle infrastrutture IT (17,2%)
- Costi di compliance (16,2%)
Le priorità strategiche per il Paese
Lo studio propone una roadmap nazionale per l’adozione dell’AI, articolata su cinque fronti principali:
- Risorse strutturali per una strategia nazionale sull’AI
- Rafforzamento dei fattori abilitanti: competenze, infrastrutture, governance
- Collaborazione pubblico-privato, in particolare con la PA
- Modelli di riferimento e casi d’uso concreti
- Inclusione delle PMI: servono 126mila imprese in più con digitalizzazione base per raggiungere gli obiettivi UE
Un invito all’azione
“L’intelligenza artificiale non è più una tecnologia emergente. È diventata una leva critica per la competitività delle imprese”, ha dichiarato Erminio Polito. “L’adozione su larga scala dell’AI potrebbe generare fino al 18% del PIL italiano in valore aggiunto”.
Corrado Panzeri, partner di TEHA Group, ha aggiunto: “Questo studio mostra con chiarezza che l’IA non è più una frontiera da esplorare, ma una leva da attivare […] Per coglierne l’impatto servono competenze, infrastrutture, governance e casi d’uso concreti”.
Il messaggio è chiaro: l’intelligenza artificiale rappresenta un’opportunità storica per l’Italia, ma serve una visione condivisa e un impegno strutturato per trasformarla in una leva di competitività, sostenibilità e inclusione.
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